Cenni sull'argomento
Urologia (dal greco οὖρον – oûron, “urina” e-λογία, – logia “studio”) è la specialità chirurgica che si concentra sulle vieurinarie di uomini e donne, e sul sistema riproduttivo maschile.
Gli urologi professionisti sono medici specializzati nel campo della urologia e sono formati per diagnosticare, trattare e gestire i pazienti con malattie urologiche. Gli organi di cui tratta l’urologia comprendono la reni, ureteri, vescica, uretra, e gli organi riproduttivi maschili ( testicoli, epididimo, deferenti, vescicole seminali, prostata e pene ). Urologi e chirurghi generali trattano le ghiandole surrenali.
La specialità tratta sia i problemi in entrambi i sessi, come infezioni del tratto urinario e iperplasia prostatica benigna, nonché i problemi chirurgici come il trattamento chirurgico dei tumori, la correzione di anomalie congenite, e l’incontinenza da sforzo.
L’urologia è strettamente legata, e in alcuni casi coincide con il settore medico di oncologia urologica, nefrologia, ginecologia, andrologia, chirurgia pediatrica, gastroenterologia, ed endocrinologia.
Le Patologie
Adenomectomia prostatica retropubica
L’adenomectomia prostatica si attua in anestesia generale o loco-regionale (peridurale o spinale) mediante incisione sovrapubica longitudinale o trasversale ed asportazione, dopo apertura della capsula prostatica, della parte interna, periuretrale, della ghiandola; questa viene asportata lasciandone in sede la parte periferica o capsula.
L’intervento è seguito dal posizionamento di un drenaggio pelvico e di un catetere vescicale per alcuni giorni. Le possibili complicanze relative a tale intervento comprendono: l’emorragia, che qualche volta può richiedere trasfusioni di sangue, emocomponenti o emoderivati; complicanze generali peri-operatorie come la trombosi venosa profonda e, più raramente, l’embolia polmonare; alla rimozione del catetere talvolta può osservarsi ritenzione d’urina o, meno frequentemente, incontinenza urinaria; frequente è l’eiaculazione retrograda, presente nell’80-90% dei casi e responsabile di probabile sterilità; deficit delle erezioni si osserva in alcuni pazienti sottoposti a questo intervento ed è ovviabile di solito con aiuto farmacologico.
La probabilità di dover ricorrere a una revisione della loggia prostatica, entro alcuni anni dopo questo intervento, è rara ed è dovuta a sclerosi del collo vescicale od alla possibile ricrescita di tessuto prostatico.
Trattamento mini invasivo per l’ipertrofia prostatica – REZUM
Vantaggi del trattamento con “Rezum”
“Rezum” consente di:
• sostituirsi ai farmaci per IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA
• risolvere la sintomatologia da IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA già in due settimane
• effettuare il trattamento con anestesia locale o in sedazione
• preservare la funzione urinaria (non causa incontinenza temporanea), erettile e dell’eiaculazione anterograda
• riprendere l’attività in tempi rapidi
Quali i rischi con il “Rezum”
Qualsiasi trattamento medico chirurgico ha dei potenziali rischi. Il sistema Rezūm è stato progettato con la finalità di ridurre la sintomatologia urinaria ostruttiva ed irritativa associata all’ipertrofia prostatica benigna. Consente la riduzione del volume prostatico di circa il 40%.
È indicato negli uomini con una prostata ingrossata fino agli 80 grammi, per dimensioni maggiori i casi vanno discussi singolarmente con il proprio urologo.
È possibile trattare sia la zona centrale ipertrofica che il terzo lobo (o lobo medio).
Il “Rezum” è indicato
Il trattamento con “Rezum” è indicato per alleviare i sintomi dell’IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA, le ostruzioni nel caso in cui le dimensioni della prostata abbiano raggiunto o superato i 30 cm3 e causino sintomatologia.
Il sistema Rezūm utilizza vapore acqueo ed è in grado di ridurre il volume prostatico di circa il 40%.
Come riportato dalle linee guida europee di urologia, ad oggi è la metodica che più di qualsiasi altra consente la preservazione della funzionalità erettile ed eiaculatoria.
La terapia con Rezum rappresenta la nuova frontiera del trattamento mini-invasivo dell’IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA, che può essere eseguito in regime di day hospital.
Attraverso una sonda endoscopica (per via transuretrale), i lobi prostatici adenomatosi vengono vaporizzati per mezzo di un sottile ago.
L’energia termica diffusa dall’ago nell’interstizio del tessuto prostatico per convezione determina la rottura delle membrane cellulari.
Nell’arco di qualche settimana l’effetto termico produce una importante riduzione del volume prostatico, con effetto disostruttivo.
Il paziente viene dimesso poche ore dopo l’intervento con un catetere vescicale che viene rimosso dopo 7 -10 giorni a seconda del quadro clinico.
Normalmente nel post operatorio verrà somministrata una terapia antibiotica ed antinfiammatoria.
I primi autentici benefici si ottengono a distanza di circa un mese dal trattamento con una risoluzione della sintomatologia ostruttiva ed irritativa presenti prima dell’intervento, contestualmente ad un incremento dell’intensità del flusso urinario.
Il beneficio sintomatologico si protrae per 2 -3 mesi fino a una situazione ottimale che dai risultati in Letteratura continua per almeno 5 anni.
L’intervento generalmente non determina una scomparsa della eiaculazione.
I vantaggi della terapia con Rezum includono:
• la mini-invasività
• la semplicità e la rapidità di esecuzione
• esecuzione in regime di day hospital con una minima sedazione o anestesia locale
• la rapida ripresa delle normali attività quotidiane
• riduzione dei sintomi e preservazione della funzione sessuale.
Permette di:
• effettuare il trattamento con anestesia locale o in sedazione
• preservare la funzione urinaria (non causa incontinenza temporanea), erettile e dell’eiaculazione anterograda
• riprendere l’attività in tempi rapidi
Cistostomia Percutanea
Definizione: la cistostomia sovrapubica percutanea (o cistostomia chiusa) è una metodica di derivazione temporanea, più raramente definitiva, delle urine. Viene effettuata attraverso un catetere che attraverso la cute dell’ipogastrio (porzione inferiore dell’addome) raggiunge la vescica e drena all’esterno le urine.
Indicazioni: la metodica ha lo scopo di far fuoriuscire (derivare) le urine quando la vescica non sia raggiungibile attraverso l’uretra, quando l’uretra non sia utilizzabile per malattie presenti fin dalla nascita (anomalie congenite) o per malattie consecutive ad interventi chirurgici o qualora non sia opportuno (es.: infiammazioni prostatiche o uretrali) transitare con un catetere attraverso l’uretra; può essere parte di procedure chirurgiche endourologiche o a cielo aperto qualora si voglia assicurare per vari motivi una sicura via di uscita delle urine. Può essere utilizzata quando si voglia mettere a riposo l’uretra dopo interventi sull’uretra stessa o sul collo vescicale.
Descrizione della tecnica: il paziente a vescica piena (in alternativa la vescica può essere riempita con soluzione fisiologica) viene posto in posizione supina. Si prepara e si disinfetta la cute 2-4 cm sopra il pube e si esegue l’anestesia locale; con un ago sottile o direttamente con un ago più grosso (trocar) si perfora la cute, si orienta l’ago verso il basso (20-30°) e si raggiunge e si perfora la vescica. Non appena si osserva la fuoriuscita di urina si introduce il catetere sovrapubico o all’interno dello stesso ago o dilatando il tramite con appositi dilatatori. Una volta introdotto il catetere lo si fissa alla cute. Tale manovra può essere eseguita sotto controllo ecografico in caso di precedenti interventi chirurgici. In alternativa si può introdurre attraverso l’uretra una sonda angolata che viene repertata in sede sovrapubica e recuperata incidendo la cute; sulla sua guida si introduce un catetere sovrapubico in vescica. Quando il catetere è ben posizionato lo si collega ad una sacca per la raccolta delle urine.
Durata dell’intervento: di solito, tra anestesia e posizionamento del catetere, non supera i 30 minuti.
Tipo e durata del ricovero: può essere una procedura ambulatoriale o in day-surgery se eseguita in anestesia locale oppure in regime di ricovero ordinario se eseguita in anestesia periferica o generale. La durata del ricovero varia in rapporto ad eventuali metodiche chirurgiche associate.
Complicanze: la mancanza di casistiche omogenee e di linee guida rende impossibile al momento offrire dellepercentuali di riferimento per le singole complicanze. Le complicanze comprendono l’ematuria (presenza di sangue nelle urine), che può essere lieve o severa, l’urgenza minzionale (voglia di urinare spesso), l’ematoma della cute, l’infezione del tramite (o stomia) attraverso il quale passa il catetere. È possibile transfiggere la vescica da parte a parte e ledere il trigono vescicale; generalmente tali lesioni guariscono in pochi giorni. La perforazione dell’intestino è la complicanza più temibile ma anche la più rara. Il cattivo posizionamento del catetere, che può anche dislocarsi dopo essere stato ben posizionato, rappresenta un’altra complicanza della metodica. Se il catetere si ostruisce si può verificare una ritenzione di urine.
Attenzioni da porre alla dimissione: il paziente deve controllare il buon funzionamento del catetere e svuotare periodicamente la sacca di raccolta delle urine.
Come comportarsi in caso di complicanze insorte dopo la dimissione: in caso di fuoriuscita o di cattivo funzionamento del catetere, il paziente deve contattare l’urologo.
Controlli: se definitiva è prevista la sostituzione periodica del catetere in relazione alle sue caratteristiche.
Turp
La resezione endoscopica della prostata si attua in anestesia generale o loco-regionale (peridurale o spinale) mediante uno speciale strumento endoscopico, il resettore, provvisto di un’ansa diatermica che consente la resezione della parte interna, periuretrale, della ghiandola prostatica; questa viene asportata, frammento dopo frammento, lasciando in sede la parte periferica della ghiandola.
L’intervento è seguito dal posizionamento di un catetere vescicale per alcuni giorni. Le possibili complicanze relative a tale procedura endoscopica comprendono: l’emorragia, che qualche volta può richiedere trasfusioni di sangue, emocomponenti o emoderivati; complicanze generali peri-operatorie come la trombosi venosa profonda e, più raramente, l’embolia polmonare; Alla rimozione del catetere talvolta può osservarsi ritenzione d’urina o, meno frequentemente, incontinenza urinaria; frequente è l’eiaculazione retrograda, presente nel 70% dei casi e responsabile di probabile sterilità; deficit delle erezioni si osserva in alcuni pazienti sottoposti a questo intervento ed è ovviabile di solito con aiuto farmacologico. La probabilità di dover ricorrere a una revisione della loggia prostatica entro alcuni anni dopo questo intervento è dovuta a sclerosi del collo vescicale od alla possibile ricrescita di tessuto prostatico.
Incisione Transuretrale della prostata (TUIP)
Definizione:
L’incisione transuretrale della prostata è un intervento endoscopico (non implica l’incisione esterna della cute) il cui scopo è risolvere l’ostacolo determinato dalla prostata allo svuotamento della vescica.
Indicazioni:
Iperplasia prostatica benigna. La tecnica è indicata per prostate del peso < di 30 gr., senza sviluppo del lobo medio.
Descrizione della tecnica:
L’incisione endoscopica transuretrale della prostata consiste nel praticare per via uretrale una, o più raramente due, incisioni della prostata a tutto spessore senza asportare il tessuto iperplastico. La procedura è generalmente eseguita in anestesia loco-regionale o generale sebbene sia segnalata la possibilità di trattamenti in anestesia locale.
Preparazione:
Generalmente è raccomandata la profilassi antibiotica e antitrombotica.
Durata della procedura:
La TUIP è l’intervento più veloce tra quelli eseguiti per il trattamento dell’iperplasia prostatica benigna: la durata media è 20 minuti.
Tipo e durata del ricovero:
Dopo l’intervento viene applicato un catetere vescicale, a volte, raramente, associato ad un sistema di lavaggio continuo della vescica. In assenza di complicazioni il catetere è rimosso in media dopo 1-2 giorni. In assenza di complicazioni la degenza ospedaliera media è di 1-3 giorni.
Risultati:
A. Sintomatologia: il miglioramento della sintomatologia è ottenuto nel 78-83% dei pazienti. B. Risultati Obiettivi: l’incisione transuretrale della prostata ottiene risultati obiettivi (aumento della forza del getto urinario, riduzione del residuo postminzionale e riduzione dell’ostruzione) lievemente minori rispetto alla resezione della prostata. C. Durata: le percentuali di efficacia del trattamento a lungo termine sono lievemente più basse rispetto alla resezione della prostata, ma la tecnica si dimostra valida anche a distanza dall’intervento: 14% di ritrattamenti dopo 5 anni.
Vantaggi:
Intervento veloce Minori perdite ematiche e complicanze rispetto alla resezione della prostata. Tempo di cateterizzazione e degenza più breve tra tutti gli interventi chirurgici Buoni risultati soggettivi e obiettivi.
Svantaggi:
Tecnica non effettuabile in caso di prostate di volume medio-elevato Tecnica non effettuabile in caso di sviluppo del lobo medio Esame istologico non effettuabile Percentuali più alte, anche se in misura trascurabile, di ritrattamento rispetto alla resezione della prostata
Effetti collaterali:
– La TUIP comporta l’eiaculazione retrograda nel 6-55% dei casi.
– Dopo la rimozione del catetere i pazienti possono presentare lievi disturbi urinari che possono persistere per 3 mesi.
Complicanze:
– L’emorragia con necessità di emotrasfusione si verifica nel 1,2% dei casi.
– Con questa tecnica non è mai stata segnalata l’insorgenza della Sindrome da TURP (sindrome dovuta al riassorbimento del liquido di lavaggio che comporta confusione, nausea, vomito, disturbi nervosi ed instabilità circolatoria).
– A distanza di tempo dall’intervento possono comparire le stenosi dell’uretra e le sclerosi del collo vescicale che si aggirano fra lo 0,4-2,6% e la cui risoluzione può richiedere un secondo intervento endoscopico (cervicotomia o uretrotomia o uretroplastica).
– L’incontinenza urinaria, nei suoi diversi gradi, ha una incidenza del 0,1-0,8% circa.
– Sebbene sia stata riportata la comparsa di impotenza dopo l’esecuzione della TUIP, è difficile ipotizzare che la tecnica possa essere la causa del disturbo organico.
– La probabilità di morte è stata stimata del 0,2-1,5%.
Attenzioni da porre dopo la dimissione:
Alla dimissione è suggerito un periodo di vita morigerata (ridotto stress fisico, scarsa attività sessuale e/o sportiva, regime alimentare moderato, terapia antisettica urinaria, ecc.) e l’astensione dalle normali attività lavorative per periodo variabile tra i 7 e 21 giorni, in base alle condizioni associate e all’estensione della resezione. Siccome la tecnica non comporta la rimozione di tessuto, la convalescenza è generalmente breve. Tale periodo non è da considerare come periodo di malattia a fini mutualistici che competono al medico di medicina generale.È suggerito di evitare lunghi tragitti in macchina e l’uso di cicli e motocicli. Normale deve essere l’introduzione di liquidi per os.
Come comportarsi in caso di complicanze a domicilio:
In caso di ritenzione urinaria o di ematuria sarà opportuno contattare l’urologo. Se persistono sintomi irritativi vescicali o insorge febbre il paziente si può rivolgere al proprio medico curante come prima istanza, sarà poi il medico a decidere sul da farsi.
Controlli:
Il primo controllo postoperatorio che rientra nel DRG, andrà effettuato entro 30-45 giorni (a secondo di quanto stabilito nelle singole Regioni).In assenza di particolari situazioni cliniche non è necessario programmare un follow-up.
Prostatic Urethral Lift: innovativa procedura mininvasiva per il trattamento dei Disturbi urinari dovuti ad ipertrofia benigna della prostata.
La Prostatic Urethral Lift è una innovativa procedura chirurgica per il trattamento dei sintomi delle basse vie urinarie (LUTS) dovuti a ostruzione dell’uretra prostatica causata dalla Iperplasia Prostatica Benigna (IPB). L’esperienza clinica e studi scientifici1,2,3,4 hanno dimostrato che la procedura (PUL) è sicura ed efficace nell’alleviare i sintomi delle basse vie urinarie.
La PUL prevede l’apertura meccanica dell’uretra prostatica mediante la retrazione del tessuto ostruente grazie a piccoli impianti trans-prostatici permanenti “UroLift” posizionati antero-lateralemente sotto controllo cistoscopico per via transuretrale.
Durante la procedura, una camicia per cistoscopia viene inserita nell’uretra, usando la tradizionale tecnica cistoscopica, ed attraverso di essa vengono inserite o cambiate le ottiche ed il dispositivo di rilascio dell’impianto il quale viene fatto avanzare fino all’uretra prostatica. Una volta raggiunto il punto dell’ostruzione uretrale, si posiziona la punta distale del dispositivo di rilascio in modo da comprimere il tessuto ostruttivo . A questo punto viene posizionato l’impianto per fissare stabilmente il tessuto ostruente in uno stato di compressione.
Fig.1 Il dispositivo di rilascio UroLift® viene introdotto attraverso l’uretra per accedere alla prostata ingrossata. Dal dispositivo fuoriesce un ago che penentra nella prostata e rilascia un impianto permanente trans-prostatico. Possono essere necessari dai 2 o più impianti a seconda delle dimensioni della prostata..
Un numero variabile di Impianti UroLift sono utilizzati secondo la necessità per mantenere adeguatamente in posizione il tessuto prostatico ostruente ed aumentare il diametro del lume dell’uretra prostatica e conseguentemente il flusso urinario.
La PUL prevede miglioramento dei sintomi delle basse vie urinarie entro due settimane dall’intervento che perdura nel tempo, come è stato constatato dalla valutazione, nel corso degli studi clinici1,2,3, dei risultati del questionario sintomatologico prostatico internazionale (IPSS) per ciascun paziente.
Fig.2 Visione cistoscopica dell’uretra prostatica prima (a sinistra) e dopo (a destra) il trattamento con gli impianti UroLift.
L’intervento prevede generalmente tempi ridotti ed, è possibile effettuarlo, valutando il caso clinico, in anestesia locale. Inoltre, dopo l’intervento, per alcuni pazienti può essere non necessaria la cateterizzazione1.
L’esperienza clinica e i risultati degli studi dimostrano che la PUL, a differenza degli altri trattamenti e procedure chirurgiche, consente di preservare la funzione sessuale: al momento non è stato segnalato nessun caso di disfunzione erettile permanente o di eiaculazione retrograda (orgasmo asciutto) 1,3,4.
Dopo l’intervento il paziente può ritornare rapidamente alla sua vita quotidiana con una più elevata qualità di vita.
1. Claus G. Roehrborn, Steven N. Gange et all The Prostatic Urethral Lift for the Treatment of Lower UrinaryTract Symptoms Associated with Prostate Enlargement Due to Benign Prostatic Hyperplasia: The L.I.F.T. Study. The Journal of Urology 2013
2. Henry H. Woo, Peter T. Chin, Thomas A. McNicholas, Harcharan S. Gill, Mark K. Plante, Reginald C. Bruskewitz and Claus G. Roehrborn. Safety and feasibility of the prostatic urethral lift: a novel, minimally invasive treatment for lower urinary tract symptoms (LUTS) secondary to benign prostatic hyperplasia (BPH).BJUI International 2011
3. .Peter T. Chin, Damien M. Bolton, Greg Jack, Prem Rashid, Jaffrey Thavaseelan, R. James Yu, Claus G. Roehrborn and Henry H. Woo. Prostatic Urethral Lift: Two Year results After treatment for Lower urinary Tract Symptoms Secondary to Benign Prostatic Hyperplasia. Urology 2012, Vol 79, No 1, January 2012;
4. Henry H. Woo, Damien M. Boldon, Eric Laborde, Greg Jack, Peter T. Chin, Prem Rashid, Jeffrey Thavaseelan, Kevin T. McVary. Preservation of Sexual Function with the Prostatic Urethral Lift: A Novel Treatment for Lower Urinary Tract Symptoms Secondary to Benign Prostatic Hyperplasia. J Sex Med 2012;9:568-575.
Prostatectomia radicale
Con il termine di prostatectomia radicale si intende l’intervento chirurgico che prevede l’asportazione in blocco della prostata e delle vescicole seminali con la successiva anastomosi della vescica con il moncone uretrale. L’intervento è di solito preceduto da una linfoadenectomia pelvica cioè dalla asportazione dei linfonodi che drenano i linfatici dalla ghiandola prostatica.
Indicazioni: La selezione del paziente candidato a tale intervento dipende dallo stadio clinico, dall’aspettativa di vita e dalle condizioni psicofisiche. In genere è ritenuto candidabile ad intervento di prostatectomia radicale, con intenti curativi, il paziente con neoplasia prostatica clinicamente localizzata, con aspettativa di vita di almeno 10 anni e in condizioni generali soddisfacenti. Lo scopo che l’intervento si propone è quello di rimuovere chirurgicamente tutto il tumore, consentendo la guarigione del paziente. Tuttavia occorre ricordare che, purtroppo, all’analisi istologica sul pezzo asportato in una alta percentuale di casi, superiore al 50%, il tumore risulta non essere confinato nella prostata o presentare margini di sezione positivi.
Complicanze: La prostatectomia radicale è considerata un intervento di chirurgia maggiore e come tale non è scevro da complicanze. Il tasso di mortalità peri-operatoria, cioè quello che avviene nei trenta giorni susseguenti all’intervento chirurgico, varia dall’1 al 4,6%; mentre la mortalità operatoria è inferiore allo 0,5%. Le complicanze dell’intervento di prostatectomia radicale si possono suddividere in tre gruppi: 1) intraoperatorie, 2) post-operatorie precoci (fino a 30 giorni dopo l’interveto chirurgico), 3) post-operatorie tardive (dopo trenta giorni dall’intervento chirurgico). Globalmente la frequenza di tali complicanze varia dal 7,5 al 18,5%;
1) tra le prime occorre ricordare l’emorragia intra-operatoria che si verifica in meno del 10% dei casi con una perdita di sangue che mediamente non supera i 1.200/1.500 ml. La perforazione della parete rettale viene riportata nello 0,1/0,2% dei casi; mentre le lesioni ureterali hanno un’incidenza variabile dallo 0,1 al 4,7%. La perforazione rettale se minima è riparata nel corso dell’intervento stesso; se la lesione rettale è di dimensioni più cospicue e la sola riparazione non da sufficienti garanzie, siè soliti confezionare una colostomia temporanea per permettere una più sicura guarigione. Le lesioni ureterali invece necessitano di solito di un reimpianto dell’uretere in vescica.
2) Tra le complicanze post-operatorie precoci vanno segnalate quelle trombo-emboliche 0,7-2,6%, quelle cardiovascolari 1-4%, le infezioni di ferita 0,9-1,3%, la linforrea o linfocele 0,6-2%. La stenosi dell’anastomosi vescico-uretrale viene riportata in una percentuale variabile tra lo 0,6 e il 32% dei casi ed è solitamente trattabile per via endoscopica.
3) Tra le complicanze tardive vanno menzionate a parte l’incontinenza urinaria e l’impotenza sessuale. Per quel che riguarda il problema dell’incontinenza urinaria l’approccio anatomico “descritto da Walsh” nella prostatectomia radicale ha consentito di ridurre l’incidenza della incontinenza urinaria post-operatoria. L’incidenza storica “dell’incontinenza urinaria” dopo prostatectomia radicale varia dal 2,5 al 47% dei casi in relazione alla definizione di incontinenza utilizzata; alcuni autori infatti ritengono presente un’incontinenza in tutti i pazienti con minimi incontinenza da sforzo, mentre altri considerano nei loro dati solo l’incontinenza totale. L’incontinenza, quando grave, può essere corretta con l’applicazione di protesi. Nelle casistiche disponibili sulle prostatectomie radicali l’incidenza dell’incontinenza totale varia dallo 0 al 12,5% dei casi. Quel che riguarda il problema dell’impotenza sessuale esiste in letteratura una notevole variabilità dei dati riguardanti il recupero della potenza dopo tale intervento che vanno dal 10 al 75% dei casi trattati. L’intervento di prostatectomia radicale preceduto dalla linfoadenectomia ha una durata di circa tre ore e viene eseguita in regime di ricovero ordinario con una degenza variabile dai 7 ai 14 giorni.
Convalescenza: La convalescenza per questo tipo di intervento è di circa 20-30 giorni dalla dimissione.
Controlli: Il primo controllo viene effettuato a distanza di 40-60 giorni con una determinazione del PSA, un’esame di urine ed un’urinocoltura; mentre i successivi controlli, variabili da caso a caso, saranno programmati mediamente alla distanza di 6 mesi dopo la prima visita.
Descrizione della tecnica: Prostatectomia radicale sovrapubica.
L’intervento di prostatectomia radicale può essere effettuata in anestesia spinale ed epidurale da sole o in associazione con l’astesia generale. L’approccio epidurale è preferibile poiché il controllo del dolore peri-operatorio è facilitato dalla somministrazione di narcotici attraverso il catetere epidurale. L’intervento viene effettuato attraverso una incisione mediana che va dall’ombelico alla sinfisi pubica; superati i piani muscolo-aponeurotici si liberano le fosse otturatorie e si procede innanzitutto alla linfoadenectomia pelvica di stadiazione. Una volta conosciuto l’esito dell’esame istologico dei linfonodi asportati si può procedere alla prostatectomia radicale le cui fasi si possono riassumere nei seguenti punti:
1) sezione dei legamenti pubo-prostatici
2) legatura del complesso venoso dorsale
3) sezione dell’uretra
4) mobilizzazione della prostata delle vescicole seminali e sezione dei vasi deferenti
5) sezione della giunzione prostato-vesciale
6) ricostruzione del collo vesciale7) anastomosi vescico-uretrale.
Agobiopsia Prostatica Transrettale
Definizione: La biopsia prostatica è una procedura indispensabile qualora vi sia un sospetto di patologia prostatica, in seguito al riscontro di un’esplorazione rettale dubbia o di un PSA aumentato.
Descrizione della tecnica: La biopsia può essere eseguita con o senza anestesia locale. Viene eseguita un’ecografia prostatica transrettale e, in corso di ecografia, si possono iniettare in sede periprostatica 10 cc di lidocaina 1%; quindi si faranno con un ago idoneo 6 o più prelievi (da 12 a 24) della ghiandola prostatica. La manovra può comportare un leggero dolore, anche se effettuata con anestesia locale.
Preparazione alla biopsia: Il Paziente deve segnalare eventuali patologie a carico delle valvole cardiache, eventuali disturbi della coagulazione noti o alterazione dei tempi di sanguinamento riscontrati in corso di precedenti manovre (per es. estrazioni dentarie). È opportuno che sospenda alcuni giorni prima eventuali terapie anticoagulanti e antiaggreganti, secondo indicazione medica. La sera prima o la mattina della manovra è necessario eseguire un clistere di pulizia. Dalla sera precedente va iniziata una profilassi antibiotica. Per prevenire episodi lipotimici (svenimento) durante la biopsia, può essere somminitrata una leggera sedazione che determina un rallentamento dei riflessi anche nelle ore successive alla procedura rendendo pericoloso lo svolgimento di attività che richiedono coordinazione e attenzione come per es. la guida di automezzi. È pertanto necessario essere accompagnati.
Risultati: La tecnica ecoguidata consente in genere di ottenere prelievinelle sedi volute ed in quantità sufficiente a porre la diagnosi. Come tutte le procedure diagnostiche anche la biopsia prostatica è gravata da falsi negativi: cioè la possibilità di non ottenere una diagnosi istologica di tumore anche in presenza dello stesso. Nei casi negativi sarà lo specialista a decidere se e quando ripetere l’esame in base alla situazione clinica.
Complicanze: Dopo la biopsia il Paziente viene tenuto in osservazione per qualche tempo. Sono descritti episodi di sincope o lipotimia. Le emorragie sono generalmente lievi e transitorie e incidono per un 20% circa: si manifestano con presenza di sangue nello sperma e/o nelle urine e/o sanguinamento rettale. L’edema della ghiandola prostatica può causare raramente ritenzione acuta di urina con la necessità di posizionamento di catetere vescicale. In alcuni casi possono manifestarsi complicanze infettive: prostatite, orchiepididimite, cistite, cistopielite, sepsi. Nel caso in cui si manifestasse una delle complicanze sopra descritte è opportuno rivolgersi all’urologo.
Cancro alla prostata e tecnologia HIFU
Un trattamento localizzato in un’unica sessione; la rapida ripresa dei pazienti dopo l’intervento; effetti collaterali minimi; ripetizione del trattamento; nessun impasse terapeutico dopo la terapia; inoltre, può essere utilizzata per pazienti che non sono candidati alla chirurgia oppure per i quali la radioterapia non ha avuto successo. È la tecnologia HIFU (High Intensity Focused Ultrasound), tecnica mininvasiva per il trattamento del cancro alla prostata localizzato.
Approfondimento
Questa tecnologia usa ultrasuoni focalizzati ad alta intensità per distruggere il tessuto tumorale della prostata senza incidere sul tessuto circostante. Essendo mininvasiva, richiede un brevissimo periodo di ospedalizzazione, ha un tasso di complicanze basso e permette una risposta rapida, con livelli minimi di PSA, raggiunti già tre mesi dopo il trattamento. HIFU è particolarmente adatto per pazienti con tumori della prostata localizzati (T1/T2) non candidati alla chirurgia, e per pazienti con insorgenze del cancro alla prostata a seguito di radioterapia. “Questa tecnica è molto promettente, come è dimostrato dall’alto tasso di successi che abbiamo avuto a Monaco di Baviera. È chiaro che non metteremo in un cassetto gli altri metodi terapeutici già consolidati, però amplia decisamente la gamma delle opzioni terapeutiche”, dichiara il dottor Stefan Thüroff della Krankenhaus München Harlaching.
Il trattamento HIFU dura all’incirca un’ora e mezza o due. Una sonda endorettale è introdotta mentre il paziente è sotto anestesia generale o spinale. Una volta identificato il tumore con lo scanning ad ultrasuoni, vengono applicate emissioni focalizzate di ultrasuoni ad alta intensità per aumentare la temperatura dell’area localizzata (da 85 a 100 gradi centigradi), inducendo la necrosi del tessuto prostatico colpito dal tumore in volumi prestabiliti. Il paziente viene ricoverato il giorno prima dell’intervento e, nella maggior parte dei casi, lascia l’ospedale dopo due o tre giorni. La tecnologia HIFU è già stata utilizzata in più di 20.000 mila pazienti. Il follow-up di un gruppo di malati in Germania ha permesso di stabilire un tasso di successo dell’87 per cento senza recidiva dopo cinque anni (137 pazienti / biopsia negativa e PSA < 0,5 ng/ml).
PCA3 progensa
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Cancro alla prostata – cosa c’è di nuovo? A. Fandella
BCG – Bacillo di Calmétte-Guerin
Dopo aver subito un intervento endoscopico per neoplasia superficiale della vescica può essere necessaria l’instillazione vescicale con BCG per distruggere o rallentare la formazione della malattia.
Ma cos’è il BCG?
È il Bacillo di Calmétte-Guerin, utilizzato fin dal 1920 come vaccino sull’uomo nella prevenzione della malattia tubercolare.
Dagli anni ’70 molti studi scientifici hanno dimostrato l’efficacia del BCG nella terapia della neoplasia superficiale della vescica.
Come agisce il BCG
Il BCG provoca una reazione infiammatoria sulla vescica e causa una desquamazione delle cellule malate che vengono eliminate attraverso le urine: le cellule normali sostituiranno le cellule malate. Inoltre il BCG stimola le difese immunitarie combattendo la malattia.
Quando viene somministrato
La terapia deve iniziare non prima di 30/40 giorni dall’intervento endoscopico; prevede sei instillazioni endovescicali ambulatoriali con cadenza settimanale. Dopo 30/40 giorni dall’ultima instillazione viene eseguita una cistoscopia di controllo. Se questa è negativa è previsto un ciclo di mantenimento a cadenza mensile.
Cosa fare prima dell’instillazione
La sera prima dell’instillazione e per i due giorni successivi lei deve assumere l’antibiotico che le è stato prescritto. Nelle 4 ore prima dell’instillazione non dovrà mangiare o bere qualsiasi cosa contenente caffeina (caffè, the, cioccolato, alcolici) perché possono irritare la vescica. Non dovrà bere per due ore prima del trattamento, per evitare di riempire la vescica.
Come viene somministrato
La manovra non è dolorosa. Prima di iniziare la procedura dovrà urinare. Dopo si stenderà su un lettino e un infermiere procederà ad iniettare il farmaco precedentemente preparato in 50 ml di liquido (soluzione fisiologica) dentro la sua vescica attraverso un catetere vescicale; terminata l’instillazione il catetere verrà tolto e lei potrà tornare a casa. Dovrà trattenere il farmaco in vescica per due ore, se riesce: ma non di più! Durante questo periodo il liquido instillato deve venire a contatto con tutta la mucosa vescicale. Perciò dovrà alternare diverse posizioni: in piedi e disteso girandosi sul fianco destro, sinistro, supino e prono ogni 15 minuti.
Mitomicina C
Dopo aver subito un intervento endoscopico per neoplasia superficiale della vescica può essere necessaria l’instillazione vescicale con Mitomicina C per distruggere o rallentare la formazione della malattia.
Ma cos’è la Mitomicina C?
E’ un chemioterapico che può essere somministrato per via endovescicale.
Come agisce la Mitomicina C
La Mitomicina C agisce localmente sul tessuto della vescica, distruggendo e rallentando la crescita delle cellule malate
Quando viene somministrata
La terapia deve iniziare non prima di 30/40 giorni dall’intervento endoscopico; prevede otto instillazioni endovescicali ambulatoriali con cadenza settimanale. Dopo 30/40 giorni dall’ultima instillazione viene eseguita una cistoscopia di controllo. Se questa è negativa è previsto un ciclo di mantenimento a cadenza mensile
Cosa fare prima dell’instillazione
La sera prima dell’instillazione e per i due giorni successivi lei deve assumere l’antibiotico che le è stato prescritto. Nelle 4 ore prima dell’instillazione non dovrà mangiare o bere qualsiasi cosa contenente caffeina (caffè, the, cioccolato, alcolici) perché possono irritare la vescica. Non dovrà bere per due ore prima del trattamento, per evitare di riempire la vescica.
Come viene somministrata
La manovra non è dolorosa. Prima di iniziare la procedura dovrà urinare. Dopo si stenderà su un lettino e un infermiere procederà ad iniettare il farmaco precedentemente preparato in 50 ml di liquido (soluzione fisiologica) dentro la sua vescica attraverso un catetere vescicale; terminata l’instillazione il catetere verrà tolto e lei potrà tornare a casa. Dovrà trattenere il farmaco in vescica per due ore, se riesce: ma non di più! Durante questo periodo il liquido instillato deve venire a contatto con tutta la mucosa vescicale. Perciò dovrà alternare diverse posizioni: in piedi e disteso girandosi sul fianco destro, sinistro, supino e prono ogni 15 minuti.
Cistoscopia Transuretrale
Definizione: la cistoscopia transuretrale è un esame diagnostico endoscopico che permette l’ispezione visiva delle pareti della vescica, del collo vescicale, dell’uretra e dei meati ureterali usando uno strumento detto cistoscopio.
Indicazioni: indicazioni alla cistoscopia sono l’ematuria, i disturbi della minzione di tipo irritativo ed ostruttivo non ritenuti diagnosticabili in altro modo, la calcolosi vescicale, lo studio delle neoformazioni vescicali segnalate da esami di diagnostica per immagini, o sospettate clinicamente, o sulla base di esami citologici o di rilevazione di marcatori urinari o ematici ritenuti sensibili.
Descrizione della tecnica: è una procedura ambulatoriale ed è eseguita in asepsi. Non è necessario essere digiuni e a vescica vuota. Generalmente è ben accetta dai pazienti e non richiede anestesia generale o periferica. Di solito è sufficiente lubrificare l’uretra con 5-10 cc di gel lubrificante che contiene dell’anestetico. Se il fastidio durante la procedura dovesse divenire eccessivo, l’operatore potrebbe decidere di sospendere la procedura o continuarla previo utilizzo di assistenza anestesiologica. Il cistoscopio viene introdotto nell’uretra e risale sino a raggiungere la vescica che viene distesa con soluzione irrigante per ispezionarne le pareti. Sono disponibili cistoscopi di vario calibro, rigidi e flessibili; i cistoscopi flessibili sono meglio sopportati dal paziente e consentono di eseguire la cistoscopia al letto del paziente. Quando si usa il cistoscopio rigido il paziente è supino con le gambe sollevate su dei gambali.
Durata della procedura: varia da 5 a 20 minuti a seconda della facilità con cui può essere raggiunta ed ispezionata la vescica.
Preparazione all’intervento: è consigliabile una copertura con antibiotici (profilassi).
Complicanze: sono rappresentate da lesioni dell’uretra, uretrorragia, ematuria, infezione, urgenza minzionale, ritenzione acuta di urina, pollachiuria (aumento della frequenza minzionale), bruciore minzionale; sono generalmente temporanee e facilmente curabili con terapia medica.
Controlli: in caso di disturbi urinari persistenti è indicato l’esame urine e l’urinocoltura. I restanti controllisono da stabilire in relazione alla patologia di base.
Cistoscopia e resezione transuretrale di neoformazione vescicale – TURV
L’esito delle indagini già eseguite (ecografia, urografia, cistoscopia diagnostica) inducono a sospettare la presenza di una neoplasia vescicale. II tumore della vescica si presenta generalmente come una neoformazione aggettante in vescica che spesso può essere asportata per via endoscopica. Non trattare la neoformazione comporta un grave rischio di progressione locale e a distanza della malattia con conseguente peggioramento della prognosi e pericolo per la vita stessa del paziente. II trattamento che si propone consiste nella cistoscopia per confermare la diagnosi e quindi nella resezione della neoformazione o delle neoformazioni con il resettore endoscopico. Non esistono al momento attuale metodiche alternative, né per la diagnosi, né per la terapia, in grado di assicurare risultati superiori o uguali a quelle offerte dalla cistoscopia e dalla
resezione endoscopica. La resezione può essere completa o parziale, a seconda del numero, dell’aspetto e delle dimensioni delle neoformazioni stesse. Se l’asportazione è completa, la procedura proposta può avere valore terapeutico, se invece è parziale ha valore solo diagnostico. Il procedimento si esegue attraverso uno strumento, chiamato resettore endoscopico, del diametro di 8-9 mm, che viene inserito attraverso l’uretra fino ad arrivare in vescica. Il resettore è uno strumento rigido, dotato di un’ansa metallica che con il passaggio della corrente elettrica permette di tagliare piccole fette di tessuto; fetta dopo fetta, la neoformazione o le neoformazioni possono essere asportate completamente. Se le neoformazioni risultano particolarmente numerose e/o estese o se infiltrano le pareti della vescica può essere impossibile eseguirne l’asportazione completa. La procedura dura circa 15-60 minuti, a seconda delle lesioni riscontrate, del loro numero e delle loro dimensioni. Dopo la cistoscopia si lascia un catetere in sede per 12-24 ore, al fine di controllare l’aspetto dell’urina ed evitare la sovradistensione vescicale a causa di una ritenzione da coaguli, con rischio di ulteriore sanguinamento. II procedimento va eseguito in anestesia generale o loco-regionale. La procedura presenta vari rischi e possibili complicanze. Innanzitutto comporta i rischi legati all’anestesia e alle manovre ad essa correlate. Nel corso dell’intervento si possono verificare le seguenti complicanze:
– lesioni dell’uretra, che generalmente si risolvono spontaneamente;
– emorragia, che a volte, anche se raramente, può rendere necessaria una trasfusione di sangue;
– perforazione vescicale, che può essere extraperitoneale o intraperitoneale: nel primo caso, soprattutto se è piccola, si risolve mantenendo il catetere per qualche giorno, raramente può richiedere un piccolo intervento per il posizionamento di un drenaggio paravescicale; nel secondo caso, invece, se la lesione è molto piccola può risolversi spontaneamente mantenendo il catetere vescicale per qualche giorno, altrimenti può rendere necessario un intervento chirurgico per riparare le lesioni alla vescica e agli altri organi eventualmente coinvolti;
– lesione degli osti ureterali, soprattutto se sono coinvolti dalla neoplasia; può essere
opportuno posizionare un cateterino ureterale per favorirne la guarigione;
– sindrome da riassorbimento: è una complicanza rara, possibile soprattutto quando l’intervento dura più di un’ora; è dovuta al riassorbimento del liquido di perfusione e può portare a complicanze anche severe, come l’edema polmonare, l’insufficienza renale e l’edema cerebrale, che possono richiedere il trasferimento nel reparto di rianimazione. Dopo l’intervento si possono verificare le seguenti complicanze:
– ematuria, che può richiedere l’esecuzione di lavaggi vescicali per rimuovere i coaguli o l’uso del lavaggio continuo per impedirne la formazione;
– ritenzione urinaria, dovuta all’ostruzione da parte di eventuali coaguli oppure favorita da preesistenti cause ostruttive, come l’ipertrofia della prostata, di solito si risolve spontaneamente;
– idroureteronefrosi, cioè la dilatazione delle alte vie urinarie, dovuta all’evoluzione in senso stenotico di una lesione dell’ostio ureterale;
– reflusso vescico-ureterale, come conseguenza della resezione del tratto intravescicale dell’uretere;
– stenosi dell’uretra, da lesione della mucosa uretrale da parte dello strumento;
– infezione urinaria, favorita dalle manovre strumentali.
TVT
L’intervento di TVT generalmente viene eseguito in anestesia locale e prevede il posizionamento di una benderella in polipropilene a livello dell’uretra media. Si praticano due incisioni addominali a livello della sinfisi pubica di un centimetro di diametro e una piccola incisione vaginale a livello dell’uretra media.Si creano due tunnel verso lo spazio retropubico attraverso i quali si introducono gli aghi che consentono di far fuoriuscire la benderella bilateralmente a livello sovrapubico. Le possibili complicanze secondarie a tale intervento sono caratterizzate dalla ritenzione urinaria completa o incompleta, che può richiedere per un breve periodo di tempo lo svuotamento vescicale mediante cateterismo, la persistenza dell’incontinenza, la comparsa di una de novo urge incontinence non presente preoperatoriamente. Altre possibili complicanze possono essere il sanguinamento profuso, tale da richiedere l’utilizzo di globuli rossi concentrati o emoderivati, le perforazioni vescicali e le erosionidell’uretra da parte della benderella.
Colpoplastica anteriore
L’intervento di colpoplastica anteriore viene eseguito in anestesia e richiede un’incisione chirurgica a livello della parete vaginale anteriore. Si isolano e mobilizzano la base vescicale, la regione del collo vescicale e l’uretra prossimale dalle pareti vaginali laterali. Identificata la fascia pubocervicale, vengono posizionati dei punti di sutura sui suoi margini che vengono quindi suturati sulla linea mediana, anche in più strati, in modo da ottenere la completa obliterazione del prolasso. A seconda del giudizio dell’operatore può essere posizionata una rete a sostegno delle strutture suturate.
Le possibili complicanze sono rappresentate da recidiva del cistocele, emorragie che potrebbero richiedere la necessità di trasfusioni di sangue o emoderivati e lesioni iatrogene degli organi pelvici.
Complessivamente le lesioni vescicali e le emorragie significative non superano l’ 1%.
La persistenza di duraturi disordini minzionali, come la ritenzione urinaria in assenza di alterazioni minzionali preoperatorie, è pressoché assente; l’incidenza di instabilità detrusoriale de novo non supera l’ 8%.
II decorso postoperatorio dura 3-4 giorni salvo complicazioni.
Cateterismo ureterale
Definizione: il cateterismo ureterale è una procedura diagnostica o terapeutica consistente nell’introduzione in uretere o nella pelvi renale di un catetere ureterale attraverso un cistoscopio.
Indicazioni: è una procedura diagnostica:
a) nel caso in cui viene seguito dall’iniezione di mezzo di contrasto per praticare una ureteropielografia retrograda;
b) nel caso in cui si voglia praticare un esame citologico selettivo della via urinaria (raccogliendo il liquido di lavaggio iniettato attraverso il catetere).È una procedura terapeutica necessaria da applicare in caso di ostruzione ureterale da causa intrinseca o estrinseca. Da oltre 30 anni, ma soprattutto, negli ultimi 15, sono entrati comunemente nella pratica clinica cateteri ureterali autostatici, per cui oggi, parlare di cateterismo ureterale per ostruzione si intende quasi sempre “posizionamento di stent autostatico”. Ma il cateterismo ureterale non autostatico ha ancora indicazioni ben precise:
1) valutazione funzionale del rene attraverso la misura selettiva delle urine eliminate e la qualità delle stesse (poco praticata);
2) cateterismo di pionefrosi con grossi cateteri poliforati che funzionano per caduta, meglio di uno stent che richiede sempre la peristalsi ureterale (utile in casi selezionati) per un ottimale funzionamento;
3) cateterismo di breve durata (24-48 ore) a seguito di manovre operative come ureteroscopia, quando si vuole prevenire una ostruzione ureterale da edema.
Descrizione della tecnica: il cateterismo ureterale viene praticato in sala operatoria o endoscopica, su letto radio-trasparente, con l’ausilio di amplificatore di brillanza. Può essere effettuato in anestesia locale, in sedazione o in casi eccezionali in anestesia. Si inserisce in vescica il cistoscopio: attraverso questo si fa passare un piccolo catetere (il catetere ureterale) che viene inserito nel meato ureterale. Da qui si procede nell’uretere fino a raggiungere l’ostacolo. Per superare l’ostacolo, nel caso in cui questo non avvenga semplicemente, si usano cateteri ureterali all’interno dei quali possano passare filiguida che con particolari movimenti superano gli ostacoli e consentono al catetere ureterale di pervenire nella pelvi renale e drenare il rene ostruito. Successivamente si può applicare il catetere autostatico, che è dotato di una doppia virgola (o j o coda di maiale) con la quale si ancora nel rene e nella vescica, diventando così autostatico. Dopo questa manovra può essere lasciato un catetere vescicale per 24 ore allo scopo di evitare il reflusso da intolleranza vescicale dello stent che si verifica soprattutto nelle prime ore.
Preparazione all’intervento: la chemioantibioticoprofilassi deve iniziare il giorno prima dell’intervento se si tratta di una procedura diagnostica. Se il cateterismo ureterale è inteso come procedura per risolvere un’ostruzione, di solito il paziente sta già praticando una terapia antibiotica.È sempre utile, se possibile, una buona preparazione intestinale.
Durata dell’intervento: i tempi di effettuazione sono molto variabili: da pochissimi minuti in caso di facile superamento dell’ostruzione a tempi più lunghi (max 15-20 minuti) nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una ostruzione complessa.
Tipo e durata del ricovero: la procedura può essere eseguita in regime ambulatoriale, in DH o in regime di ricovero in relazione al tipo di ostruzione, al tipo di anestesia e al tipo di paziente che ci si trova di fronte.
Risultati: i risultati, in termini di riuscita della procedura sono quasi sempre buoni.
Vantaggi: si tratta di una procedura tecnicamente semplice, mini-invasiva, in grado di risolvere ostruzioni ureterali di ogni tipo.
Svantaggi: l’ostruzione precoce del catetere ureterale non consente il funzionamento ottimale quando la peristalsi ureterale non è più valida (uretere neoplastico, fibrosi estesa dell’uretere). In questi casi il drenaggio migliore si ottiene con la nefrostomia percutanea.
Effetti collaterali: i portatori di catetere ureterale tipo stent di solito lamentano, soprattutto nei primi giorni disturbi urinari di tipo irritativo, in relazione all’intolleranza dell’estremo vescicale dello stent. Esiste peraltro una variabilità di tolleranza in relazione al materiale di composizione dello stent e in relazione alla sopportazione personale del paziente.
Complicanze: le complicanze post-operatorie precoci sono:
1) il dolore lombare talora legato al reflusso vescico-renale;
2) l’ematuria, entrambi dovuti al traumatismo e all’irritazione prodotti dal catetere ureterale;
3) i sintomi irritativi vescicali (frequenza minzionale, urgenza, incontinenza, ecc.) dovuti al contatto meccanico dell’estremo inferiore dello stent con la parete vescicale (molto variabili, dalla tolleranza assoluta all’intolleranza totale che talora richiede la rimozione dello stent).
Le complicanze tardive sono:
1) sviluppo di incrostazioni, molto variabile in relazione alle caratteristiche chimico-fisiche delle urine dei pazienti; può riguardare l’estremo prossimale o distale e talora tutto lo stent;
2) deposizionamento dello stent: verso l’alto, in tal caso deve essere recuperato attraverso una ureteroscopia operativa; verso il basso, in tal caso va riposizionato con una nuova manovra cistoscopia;
3) ostruzione dello stent con assenza di deflusso peritubulare: questa è un’evenienza che accade di frequente quando ci si trova di fronte ad una ostruzione estrinseca di natura neoplastica; in questi casi, la costrizione estrinseca da parte della massa neoplastica e l’infiltrazione neuro-muscolare dell’uretere con il blocco della peristalsi che ne consegue, lasciano funzionare lo stent solo per via intracanalicolare, ma questa ha una durata breve. In tali casi il miglior drenaggio dell’ostruzione è la nefrostomia percutanea, sempre che il paziente, avendo una lunga aspettativa di vita, non possa beneficiare di una derivazione urinaria chirurgica congrua;
4) rottura dello stent: di solito avviene quando questo viene tenuto dal paziente oltre il limite previsto per quello specifico materiale. È necessario consegnare al paziente il cartellino di accompagnamento datato che specifica i tempi di rimozione o eventuale sostituzione dello stent;
5) l’infezione sintomatica delle vie urinarie è piuttosto comune nei portatori di stent; non sempre è trattabile con successo con antibiotici.
Attenzioni da porre alla dimissione: nel post-operatorio il paziente sottoposto al posizionamento di uno stent deve praticare una terapia antibiotica e talora con antispastici vescicali, per evitare il cistospasmo da intolleranza dell’estremo vescicole dello stent. È consigliato di bere molto allo scopo di avere una diuresi abbondante. Al paziente deve essere rilasciato un cartellino nel quale viene indicata la data di rimozione dello stent. Questa informazione deve essere anche inserita in un registro ospedaliero.
Come comportarsi in caso di complicanze insorte dopo la dimissione: in caso di disturbi irritativi vescicali può far uso di antispastici selettivi vescicali prescritti anche dal medico curante. In caso di febbre persistente e dolore dopo 6-7 giorni deve riconsultare il centro urologico di riferimento perché probabilmente siamo di fronte ad un cattivo funzionamento dello stent.
Controlli: deve effettuare controlli radiografici, ecografici e di laboratorio, in relazione alla patologiaostruttiva per la quale si è proceduti al posizionamento dello stent.
Litrotissia extracorporea (E.S.W.L)
Definizione: La litotrissia extracorporea consiste nella produzione di onde d’urto in un mezzo liquido con diversi tipi di generatori (elettroidraulici, elettromagnetici, piezoelettrici) e nella focalizzazione di queste onde sul calcolo da frantumare. Le onde d’urto, generate al di fuori del corpo umano, vengono trasmesse dai liquidi e quindi anche dai tessuti molli dell’organismo e si infrangono sulla superficie solida dei calcoli inducendone la polverizzazione. I frammenti e la polvere così formati vengono poi espulsi spontaneamente attraverso la via escretrice. Il puntamento del calcolo, cioè la sua visualizzazione e posizionamento nell’area in cui si concentrano le onde d’urto (fuoco), avviene con la fluoroscopia o con l’ecografia. I più recenti litotritori dispongono di entrambe le possibilità di puntamento e garantiscono la repertazione del calcolo lungo tutta la via escretrice; non richiedono più l’immersione del paziente in acqua, come avveniva con i litotritori di prima generazione, ma ottengono l’accoppiamento tra sorgente dell’onda d’urto e paziente mediante un cuscino d’acqua di dimensioni contenute.
Indicazioni e controindicazioni: I fattori che condizionano le indicazioni e la percentuale di successo della SWL (shock wave lithotripsy) sono rappresentati dalla dimensione e dalla sede del calcolo, dalla sua composizione e dalla morfologia della via escretrice. La maggior parte delle calcolosi renali sono trattate con tecnica extracorporea in monoterapia od in associazione con la litotrissia percutanea. Il diametro di 2.5cm rappresenta il limite superiore di dimensione unanimemente accettato per un trattamento di prima scelta in monoterapia con un litotritore extracorporeo. L’alto numero di ritrattamenti necessari per calcolosi di diametro superiore, le possibili complicanze (impilamento dei frammenti, ostruzione della via escretrice, febbre) e l’elevata percentuale di ricrescita dei frammenti residui fanno preferire in questi casi l’uso della litotrissia percutanea. In presenza di calcolosi del calice inferiore di dimensione superiori a 1.5cm, o di calcoli in diverticoli caliciali con colletto stenotico, la SWL è in grado spesso di indurne la frammentazione e di ridurre la sintomatologia, ma l’eliminazione risulta molto difficile se non impossibile. L’opzione terapeutica più efficace in questi casi particolari è considerata la litotrissia percutanea piuttosto che quella extracorporea. Requisito essenziale per l’esecuzione di una SWL è rappresentato dalla pervietà della via escretrice e dalla possibilità che i frammenti creati dalla litotrissia vengano espulsi spontaneamente. In condizioni quali una dilatazione delle cavità renali l’eliminazione di polvere e frammenti avverrà con maggiore difficoltà (53%) rispetto a quella ottenibile con regolare morfologia pielo-caliciale (70%). Anomalie anatomiche come il rene a ferro di cavallo, per la particolare conformazione dei calici, bacinetto e giunto pielo-ureterale, rendono più difficile la clearance delle cavità dal calcolo che avviene dal 54 al 70% dei casi aumentando invece il rischio di strumentazioni aggiuntive e quello di ricrescite o recidive. La modalità di frammentazione dei calcoli dipende in maniera rilevante dalla sua composizione chimica, così un calcolo di ossalato diidrato o di struvite si romperà più facilmente che uno di ossalato monoidrato o di cistina. La composizione chimica influenza quindi le percentuali di successo e di ritrattamento. Così una calcolosi di cistina di diametro superiore ad 1,5cm non trova nella SWL la prima opzione di trattamento. La calcolosi di acido urico sensibile al trattamento litico orale viene trattato con la litotrissia extracorporea solo in caso di assente o insufficiente riduzione della massa del calcolo dopo almeno 3 mesi di terapia alcalinizzante. La terapia alcalinizzante viene spesso proposta in associazione alla SWL per sfruttare la maggior superficie di contatto tra urine e calcolo frammentato. I difetti congeniti od acquisiti della coagulazione rappresentavano una controindicazione assoluta al trattamento extracorporeo; la loro correzione ha permesso però di sottoporre anche questa categoria di pazienti alla SWL con un rischio ridotto di evenienze emorragiche. E’ preferibile comunque che il trattamento venga condotto sotto controllo ecografico ed applicando potenze ridotte. Sono attualmente considerate controindicazioni: la gravidanza, le calcificazioni aortiche, gli aneurismi aortici e dell’arteria renale, i difetti non correggibili della coagulazione ed una complessione fisica, come grosse obesità od una scoliosi grave, che renda impossibile l’accoppiamento tra sorgente d’onda d’urto e paziente od il posizionamento del calcolo sul fuoco.
Descrizione della tecnica: I litotritori di prima generazione prevedevano l’immersione del paziente in una vasca metallica sul cui fondo era collocata la sorgente delle onde d’urto. Con i litotritori più recenti il paziente viene solitamente sdraiato su di un lettino e la sorgente delle onde d’urto appoggiata al suo corpo mediante un cuscino d’acqua. Il calcolo viene visualizzato e puntato ecograficamente o radiologicamente mediante dei movimenti del lettino o della sorgente d’onda. Durante la litotrissia extracorporea le onde d’urto devono attraversare la cute ed i tessuti molli prima di raggiungere il calcolo e questo passaggio può provocare dolore. Il dolore dipende dalla potenza generata dalla fonte di energia, dall’area di ingresso dell’onda d’urto sulla superficie corporea e dalla dimensione del fuoco in cui si concentra l’onda d’urto. Il trattamento extracorporeo viene attualmente eseguito senza anestesia generale o peridurale, ma solo con una analgo-sedazione od addirittura senza alcun supporto farmacologico a seconda del litotritore e delle potenze erogate. Naturalmente riducendo l’energia applicata si ridurrà la necessità di analgesia ma anche l’efficacia del trattamento con aumento della necessità di ritrattamenti.
Preparazione all’intervento: Una profilassi antibiotica è necessaria solo in presenza di una infezione urinaria in atto, nel trattamento di calcolosi da infezione, o quando vi sia una storia di infezioni urinarie.
Durata dell’intervento: La durata di un trattamento è mediamente di circa 30 minuti ed è correlata principalmente al numero di onde erogate per minuto, ed al tempo necessario per un corretto puntamento del calcolo.
Tipo e durata del ricovero: Abitualmente la procedura viene realizzata in regime di Day-Hospital o ambulatoriamente. Solo in caso di complicanze può rendersi necessario il passaggio ad un ricovero ordinario (< 5%).
Risultati: Le dimensioni del calcolo rappresentano uno dei fattori discriminanti per la scelta del trattamento e modificano in modo determinante la percentuale di successi (considerati come completa liberazione dai calcoli). La massima percentuale di successi viene ottenuta nelle calcolosi di diametro inferiore ad 1cm con una media dell’84% (64-92%) per scendere al 77% (59-89%) tra 1 e 2cm e 63% (39-70%) al di sopra dei 2cm di diametro. Con calcolosi di diametro superiore a 2.5cm la percentuale dei pazienti liberi da calcoli è compresa tra il 44 ed il 62%. La localizzazione del calcolo condiziona anch’essa la percentuale di successi. L’eliminazione totale dei frammenti avviene in circa l’80% delle calcolosi situate nel bacinetto renale, nel 73% delle caliciali superiori fino a scendere al 53% di quelle del calice inferiore. Tali percentuali diminuiscono in maniera evidente in caso di stenosi del colletto dei calici: 26 e 18% rispettivamente per le calcolosi caliciali superiori ed inferiori. I frammenti prodotti dalla litotrissia sono eliminati ad un anno dal trattamento nella maggior parte dei casi (dal 55 al 78%), ma in un certo numero di pazienti l’eliminazione non avviene ed essi rimangono all’interno delle cavità renali aumentando il rischio di ricrescite per le calcolosi di cistina, acido urico e da infezione.
Vantaggi: Minore invasività rispetto alla chirurgia endoscopica e tradizionale, e quindi minori rischi di complicanze. Trattamento in regime ambulatoriale o di Day Hospital.
Svantaggi: Elevata percentuale di ritrattamenti.
Effetti collaterali: E’ possibile distinguere tra effetti collaterali dovuti alla frammentazione del calcolo e quelli riferibili al passaggio delle onde d’urto. L’eliminazione dei frammenti può essere accompagnata da coliche in una percentuale variabile dal 18,4 al 49%. Il passaggio delle onde d’urto nel rene provoca dei microtraumi a carico del parenchima renale, ai quali, in gran parte può essere attribuita l’ematuria che compare nelle prime 24 ore.
Complicanze: La complicanza più severa della litotrissia extracorporea è l’ematoma renale che presenta una incidenza clinica variabile tra lo 0,1 e lo 0,6%. La maggior parte di questi ematomi vengono trattati conservativamente e sono usualmente riassorbiti entro 6 settimane, ma possono persistere per più di 6 mesi. Solo occasionalmente sono state descritte emotrasfusioni o nefrectomie. Fattori predisponenti la formazione degli ematomi sono l’ipertensione arteriosa non controllata, i deficit della coagulazione, l’assunzione di antiaggreganti piatrinici e la pielonefrite. Numerosi studi sono stati condotti per valutare la possibilità dello sviluppo di una ipertensione arteriosa dopo SWL, ma i controlli non hanno dimostrato una diversa incidenza di ipertensione fra pazienti trattati e popolazione normale. Dolori persistenti, una ostruzione ureterale completa in particolare se in rene unico, febbre e sepsi urinaria e la mancata eliminazione dei frammenti entro 4 settimane richiedono una pronta disostruzione dell’uretere. L’incidenza di ostruzione della via escretrice causata dai frammenti è direttamente correlata alla massa di particelle da eliminare. Sono infatti richieste manovre ausiliarie post SWL nel 10% dei pazienti con calcolosi di diametro inferiore ai 2.5cm, ma nel 60% dei pazienti con calcolosi superiori a tale misura. L’impilamento di polvere e frammenti nell’uretere diviene sintomatico tra l’1 ed il 6% dei casi e, malgrado si risolva spesso spontaneamente, tra il 6 e il 35% dei pazienti si rendono necessarie delle manovre ausiliarie che prevedono, con varia frequenza, il posizionamento di una nefrostomia percutanea, di uno stent ureterale o manovre endoscopiche fino all’ureterorenoscopia e trattamenti SWL sull’uretere.
Attenzioni da porre alla dimissione: La natura stessa del trattamento prevede l’espulsione spontanea dei frammenti che possono provocare delle coliche renali da trattare con antidolorifici a domicilio.
Come comportarsi in caso di complicanze dopo la dimissione: Sarà opportuno consultare l’urologo in caso di iperpiressia e coliche resistenti alla terapia farmacologica.
Controlli: I controlli degli esiti del trattamento vengono eseguiti tra 3 e 7 giorni dalla litotrissia e prevedono una radiografia a vuoto dell’addome ed una ecografia renale. In caso di adeguata frammentazione vanno ripetutiad uno e tre mesi dal trattamento per verificare la completa eliminazione dei frammenti.
Cistostomia percutanea
Definizione: La cistostomia sovrapubica percutanea (o cistostomia chiusa) è una metodica di derivazione temporanea, più raramente definitiva, delle urine. Viene effettuata attraverso un catetere che attraverso la cute dell’ipogastrio (porzione inferiore dell’addome) raggiunge la vescica e drena all’esterno le urine.
Indicazioni: la metodica ha lo scopo di far fuoriuscire (derivare) le urine quando la vescica non sia raggiungibile attraverso l’uretra, quando l’uretra non sia utilizzabile per malattie presenti fin dalla nascita (anomalie congenite) o per malattie consecutive ad interventi chirurgici o qualora non sia opportuno (es.: infiammazioni prostatiche o uretrali) transitare con un catetere attraverso l’uretra; può essere parte di procedure chirurgiche endourologiche o a cielo aperto qualora si voglia assicurare per vari motivi una sicura via di uscita delle urine. Può essere utilizzata quando si voglia mettere a riposo l’uretra dopo interventi sull’uretra stessa o sul collo vescicale.
Descrizione della tecnica: il paziente a vescica piena (in alternativa la vescica può essere riempita con soluzione fisiologica) viene posto in posizione supina. Si prepara e si disinfetta la cute 2-4 cm sopra il pube e si esegue l’anestesia locale; con un ago sottile o direttamente con un ago più grosso (trocar) si perfora la cute, si orienta l’ago verso il basso (20-30°) e si raggiunge e si perfora la vescica. Non appena si osserva la fuoriuscita di urina si introduce il catetere sovrapubico o all’interno dello stesso ago o dilatando il tramite con appositi dilatatori. Una volta introdotto il catetere lo si fissa alla cute. Tale manovra può essere eseguita sotto controllo ecografico in caso di precedenti interventi chirurgici. In alternativa si può introdurre attraverso l’uretra una sonda angolata che viene repertata in sede sovrapubica e recuperata incidendo la cute; sulla sua guida si introduce un catetere sovrapubico in vescica. Quando il catetere è ben posizionato lo si collega ad una sacca per la raccolta delle urine.
Durata dell’intervento: di solito, tra anestesia e posizionamento del catetere, non supera i 30 minuti. Tipo e durata del ricovero: può essere una procedura ambulatoriale o in day-surgery se eseguita in anestesia locale oppure in regime di ricovero ordinario se eseguita in anestesia periferica o generale. La durata del ricovero varia in rapporto ad eventuali metodiche chirurgiche associate.
Complicanze: la mancanza di casistiche omogenee e di linee guida rende impossibile al momento offrire delle percentuali di riferimento per le singole complicanze. Le complicanze comprendono l’ematuria (presenza di sangue nelle urine), che può essere lieve o severa, l’urgenza minzionale (voglia di urinare spesso), l’ematoma della cute, l’infezione del tramite (o stomia) attraverso il quale passa il catetere. È possibile transfiggere la vescica da parte a parte e ledere il trigono vescicale; generalmente tali lesioni guariscono in pochi giorni. La perforazione dell’intestino è la complicanza più temibile ma anche la più rara. Il cattivo posizionamento del catetere, che può anche dislocarsi dopo essere stato ben posizionato, rappresenta un’altra complicanza della metodica. Se il catetere si ostruisce si può verificare una ritenzione di urine.
Attenzioni da porre alla dimissione: il paziente deve controllare il buon funzionamento del catetere e svuotare periodicamente la sacca di raccolta delle urine.
Come comportarsi in caso di complicanze insorte dopo la dimissione: in caso di fuoriuscita o di cattivo funzionamento del catetere, il paziente deve contattare l’urologo.
Controlli: se definitiva è prevista la sostituzione periodica del catetere in relazione alle sue caratteristiche.
Litrotissia extracorporea (E.S.W.L)
Definizione: La litotrissia extracorporea consiste nella produzione di onde d’urto in un mezzo liquido con diversi tipi di generatori (elettroidraulici, elettromagnetici, piezoelettrici) e nella focalizzazione di queste onde sul calcolo da frantumare. Le onde d’urto, generate al di fuori del corpo umano, vengono trasmesse dai liquidi e quindi anche dai tessuti molli dell’organismo e si infrangono sulla superficie solida dei calcoli inducendone la polverizzazione. I frammenti e la polvere così formati vengono poi espulsi spontaneamente attraverso la via escretrice. Il puntamento del calcolo, cioè la sua visualizzazione e posizionamento nell’area in cui si concentrano le onde d’urto (fuoco), avviene con la fluoroscopia o con l’ecografia. I più recenti litotritori dispongono di entrambe le possibilità di puntamento e garantiscono la repertazione del calcolo lungo tutta la via escretrice; non richiedono più l’immersione del paziente in acqua, come avveniva con i litotritori di prima generazione, ma ottengono l’accoppiamento tra sorgente dell’onda d’urto e paziente mediante un cuscino d’acqua di dimensioni contenute.
Indicazioni e controindicazioni: I fattori che condizionano le indicazioni e la percentuale di successo della SWL (shock wave lithotripsy) sono rappresentati dalla dimensione e dalla sede del calcolo, dalla sua composizione e dalla morfologia della via escretrice. La maggior parte delle calcolosi renali sono trattate con tecnica extracorporea in monoterapia od in associazione con la litotrissia percutanea. Il diametro di 2.5cm rappresenta il limite superiore di dimensione unanimemente accettato per un trattamento di prima scelta in monoterapia con un litotritore extracorporeo. L’alto numero di ritrattamenti necessari per calcolosi di diametro superiore, le possibili complicanze (impilamento dei frammenti, ostruzione della via escretrice, febbre) e l’elevata percentuale di ricrescita dei frammenti residui fanno preferire in questi casi l’uso della litotrissia percutanea. In presenza di calcolosi del calice inferiore di dimensione superiori a 1.5cm, o di calcoli in diverticoli caliciali con colletto stenotico, la SWL è in grado spesso di indurne la frammentazione e di ridurre la sintomatologia, ma l’eliminazione risulta molto difficile se non impossibile. L’opzione terapeutica più efficace in questi casi particolari è considerata la litotrissia percutanea piuttosto che quella extracorporea. Requisito essenziale per l’esecuzione di una SWL è rappresentato dalla pervietà della via escretrice e dalla possibilità che i frammenti creati dalla litotrissia vengano espulsi spontaneamente. In condizioni quali una dilatazione delle cavità renali l’eliminazione di polvere e frammenti avverrà con maggiore difficoltà (53%) rispetto a quella ottenibile con regolare morfologia pielo-caliciale (70%). Anomalie anatomiche come il rene a ferro di cavallo, per la particolare conformazione dei calici, bacinetto e giunto pielo-ureterale, rendono più difficile la clearance delle cavità dal calcolo che avviene dal 54 al 70% dei casi aumentando invece il rischio di strumentazioni aggiuntive e quello di ricrescite o recidive. La modalità di frammentazione dei calcoli dipende in maniera rilevante dalla sua composizione chimica, così un calcolo di ossalato diidrato o di struvite si romperà più facilmente che uno di ossalato monoidrato o di cistina. La composizione chimica influenza quindi le percentuali di successo e di ritrattamento. Così una calcolosi di cistina di diametro superiore ad 1,5cm non trova nella SWL la prima opzione di trattamento. La calcolosi di acido urico sensibile al trattamento litico orale viene trattato con la litotrissia extracorporea solo in caso di assente o insufficiente riduzione della massa del calcolo dopo almeno 3 mesi di terapia alcalinizzante. La terapia alcalinizzante viene spesso proposta in associazione alla SWL per sfruttare la maggior superficie di contatto tra urine e calcolo frammentato. I difetti congeniti od acquisiti della coagulazione rappresentavano una controindicazione assoluta al trattamento extracorporeo; la loro correzione ha permesso però di sottoporre anche questa categoria di pazienti alla SWL con un rischio ridotto di evenienze emorragiche. E’ preferibile comunque che il trattamento venga condotto sotto controllo ecografico ed applicando potenze ridotte. Sono attualmente considerate controindicazioni: la gravidanza, le calcificazioni aortiche, gli aneurismi aortici e dell’arteria renale, i difetti non correggibili della coagulazione ed una complessione fisica, come grosse obesità od una scoliosi grave, che renda impossibile l’accoppiamento tra sorgente d’onda d’urto e paziente od il posizionamento del calcolo sul fuoco.
Descrizione della tecnica: I litotritori di prima generazione prevedevano l’immersione del paziente in una vasca metallica sul cui fondo era collocata la sorgente delle onde d’urto. Con i litotritori più recenti il paziente viene solitamente sdraiato su di un lettino e la sorgente delle onde d’urto appoggiata al suo corpo mediante un cuscino d’acqua. Il calcolo viene visualizzato e puntato ecograficamente o radiologicamente mediante dei movimenti del lettino o della sorgente d’onda. Durante la litotrissia extracorporea le onde d’urto devono attraversare la cute ed i tessuti molli prima di raggiungere il calcolo e questo passaggio può provocare dolore. Il dolore dipende dalla potenza generata dalla fonte di energia, dall’area di ingresso dell’onda d’urto sulla superficie corporea e dalla dimensione del fuoco in cui si concentra l’onda d’urto. Il trattamento extracorporeo viene attualmente eseguito senza anestesia generale o peridurale, ma solo con una analgo-sedazione od addirittura senza alcun supporto farmacologico a seconda del litotritore e delle potenze erogate. Naturalmente riducendo l’energia applicata si ridurrà la necessità di analgesia ma anche l’efficacia del trattamento con aumento della necessità di ritrattamenti.
Preparazione all’intervento: Una profilassi antibiotica è necessaria solo in presenza di una infezione urinaria in atto, nel trattamento di calcolosi da infezione, o quando vi sia una storia di infezioni urinarie.
Durata dell’intervento: La durata di un trattamento è mediamente di circa 30 minuti ed è correlata principalmente al numero di onde erogate per minuto, ed al tempo necessario per un corretto puntamento del calcolo.
Tipo e durata del ricovero: Abitualmente la procedura viene realizzata in regime di Day-Hospital o ambulatoriamente. Solo in caso di complicanze può rendersi necessario il passaggio ad un ricovero ordinario (< 5%).
Risultati: Le dimensioni del calcolo rappresentano uno dei fattori discriminanti per la scelta del trattamento e modificano in modo determinante la percentuale di successi (considerati come completa liberazione dai calcoli). La massima percentuale di successi viene ottenuta nelle calcolosi di diametro inferiore ad 1cm con una media dell’84% (64-92%) per scendere al 77% (59-89%) tra 1 e 2cm e 63% (39-70%) al di sopra dei 2cm di diametro. Con calcolosi di diametro superiore a 2.5cm la percentuale dei pazienti liberi da calcoli è compresa tra il 44 ed il 62%. La localizzazione del calcolo condiziona anch’essa la percentuale di successi. L’eliminazione totale dei frammenti avviene in circa l’80% delle calcolosi situate nel bacinetto renale, nel 73% delle caliciali superiori fino a scendere al 53% di quelle del calice inferiore. Tali percentuali diminuiscono in maniera evidente in caso di stenosi del colletto dei calici: 26 e 18% rispettivamente per le calcolosi caliciali superiori ed inferiori. I frammenti prodotti dalla litotrissia sono eliminati ad un anno dal trattamento nella maggior parte dei casi (dal 55 al 78%), ma in un certo numero di pazienti l’eliminazione non avviene ed essi rimangono all’interno delle cavità renali aumentando il rischio di ricrescite per le calcolosi di cistina, acido urico e da infezione.
Vantaggi: Minore invasività rispetto alla chirurgia endoscopica e tradizionale, e quindi minori rischi di complicanze. Trattamento in regime ambulatoriale o di Day Hospital.
Svantaggi: Elevata percentuale di ritrattamenti.
Effetti collaterali: E’ possibile distinguere tra effetti collaterali dovuti alla frammentazione del calcolo e quelli riferibili al passaggio delle onde d’urto. L’eliminazione dei frammenti può essere accompagnata da coliche in una percentuale variabile dal 18,4 al 49%. Il passaggio delle onde d’urto nel rene provoca dei microtraumi a carico del parenchima renale, ai quali, in gran parte può essere attribuita l’ematuria che compare nelle prime 24 ore.
Complicanze: La complicanza più severa della litotrissia extracorporea è l’ematoma renale che presenta una incidenza clinica variabile tra lo 0,1 e lo 0,6%. La maggior parte di questi ematomi vengono trattati conservativamente e sono usualmente riassorbiti entro 6 settimane, ma possono persistere per più di 6 mesi. Solo occasionalmente sono state descritte emotrasfusioni o nefrectomie. Fattori predisponenti la formazione degli ematomi sono l’ipertensione arteriosa non controllata, i deficit della coagulazione, l’assunzione di antiaggreganti piatrinici e la pielonefrite. Numerosi studi sono stati condotti per valutare la possibilità dello sviluppo di una ipertensione arteriosa dopo SWL, ma i controlli non hanno dimostrato una diversa incidenza di ipertensione fra pazienti trattati e popolazione normale. Dolori persistenti, una ostruzione ureterale completa in particolare se in rene unico, febbre e sepsi urinaria e la mancata eliminazione dei frammenti entro 4 settimane richiedono una pronta disostruzione dell’uretere. L’incidenza di ostruzione della via escretrice causata dai frammenti è direttamente correlata alla massa di particelle da eliminare. Sono infatti richieste manovre ausiliarie post SWL nel 10% dei pazienti con calcolosi di diametro inferiore ai 2.5cm, ma nel 60% dei pazienti con calcolosi superiori a tale misura. L’impilamento di polvere e frammenti nell’uretere diviene sintomatico tra l’1 ed il 6% dei casi e, malgrado si risolva spesso spontaneamente, tra il 6 e il 35% dei pazienti si rendono necessarie delle manovre ausiliarie che prevedono, con varia frequenza, il posizionamento di una nefrostomia percutanea, di uno stent ureterale o manovre endoscopiche fino all’ureterorenoscopia e trattamenti SWL sull’uretere.
Attenzioni da porre alla dimissione: La natura stessa del trattamento prevede l’espulsione spontanea dei frammenti che possono provocare delle coliche renali da trattare con antidolorifici a domicilio.
Come comportarsi in caso di complicanze dopo la dimissione: Sarà opportuno consultare l’urologo in caso di iperpiressia e coliche resistenti alla terapia farmacologica.
Controlli: I controlli degli esiti del trattamento vengono eseguiti tra 3 e 7 giorni dalla litotrissia e prevedono una radiografia a vuoto dell’addome ed una ecografia renale. In caso di adeguata frammentazione vanno ripetutiad uno e tre mesi dal trattamento per verificare la completa eliminazione dei frammenti.
Tumorectomia renale
Definizione: Rimozione completa per enucleo-resezione di una neoplasia solida del parenchima renale.
Indicazioni: Indicazione assoluta è il paziente con tumore in un rene unico funzionante, oppure con tumore bilaterale in cui uno dei due reni debba essere necessariamente rimosso.
Altre indicazioni sono:
– pazienti con neoplasie renali multifocali bilaterali a basso stadio che si sviluppano contemporaneamente o in tempi successivi;
– pazienti con neoplasia renale in presenza di insufficienza renale cronica, in quanto la conservazione di una quantità sufficiente di parenchima renale può evitare il ricorso alla dialisi;
– pazienti portatori di entrambi i reni ben funzionanti con una neoplasia renale di diametro inferiore ai 3cm.
Descrizione della tecnica: L’accesso standard sul fianco a livello della 11a o 12a costa permette una agevole esposizione per le lesioni superficiali o polari di piccole dimensioni, specie in reni mai operati: in alternativa si potrà ricorrere ad una incisione al di sopra della 11a costa, con eventuale sacrificio della stessa, specie per i tumori del polo superiore del lato sinistro. Una volta mobilizzato il rene si identifica il peduncolo vascolare, lo si libera accuratamente per poter posizionare un laccio vascolare attorno all’arteria e alla vena, oppure una clamp vascolare qualora si renda necessaria una occlusione arteriosa per evitare emorragie gravi. La tecnica dell’enucleazione semplice della neoplasia, che richiede dapprima una incisione circolare della capsula propria del rene attorno al tumore e quindi l’individuazione del piano di clivaggio tra la pseudocapsula fibrosa e il parenchima renale, e che permette l’enucleazione per via smussa del tumore e la successiva legatura delle “bocche” dei vasi sanguinanti in superficie, viene oggi preferibilmente sostituita dalla enucleo-resezione della neoplasia essa consiste nella contestuale asportazione del tumore e di 5-10mm del parenchima renale apparentemente sano che circonda il tumore.
Il sanguinamento viene controllato con sutura selettiva delle “bocche” arteriose e venose con successivo“piombaggio” della cavità residua con spugne emostatiche e/o grasso perirenale e con punti fatti passare fino ai bordi parenchimali.
Nei casi dei tumori voluminosi in rene unico può esservi indicazione alla asportazione del rene alla sua conservazione mediante particolari soluzioni saline fattevi circolare, alla asportazione del tumore al di fuori dell’organismo (su banco) e successiva autotrapianto del rene in fossa iliaca.
Preparazione all’intervento: La preparazione consiste nell’eseguire, oltre agli esami standard necessari per la stadiazione della neoplasia gli esami, ematourinari utili per l’anestesia e l’eventuale predeposito di sangue del paziente nel centro trasfusionale per eventuale autotrasfusione in caso di emorragia.
Si deve comunque eseguire una profilassi antibiotica dalla mattina del giorno dell’intervento associando eparine a basso peso molecolare (per prevenire rischi tromboembolici intra e post operatori) a partire da 12 ore prima dell’intervento.
Durata dell’intervento: La procedura può durare dai 90 ai 150 minuti.
Tipo e durata del ricovero: Il trattamento viene eseguito in regime di ricovero ordinario con tempi di degenza compresi tra 5 e 10 giorni salvo complicazioni.
Risultati: La chirurgia conservativa come terapia per il carcinoma a cellule renali rimane oggetto di controversie nonostante i buoni risultati in termini di controllo locale e di intervallo libero di malattia. L’intervento standard per questa neoplasia rimane la nefrectomia radicale in presenza di un rene controlaterale normale.
Novick (1995) ha riportato un’esperienza relativa a 216 pazienti sottoposti a tumorectomia, in cui la sopravvivenza per i tumori di basso stadio (stadio I) è stata del 95%, del 75% per le neoplasie di stadio più elevato (stadio III), dell’85% per le neoplasie bilaterali sincrone e del 75% per le neoplasie bilaterali metacrone (che si sviluppano in tempi successivi). Solo il 4% (9 su 216) ha sviluppato recidive locali nel parenchima renale residuo senza ripresa di malattia a distanza.
Studi iniziali suggerivano che la sopravvivenza fosse significativamente migliore nei pazienti monorene che in quelli con neoplasie bilaterali sincrone o metacrone (70% vs 50%) (Wickham, 1975): Topley (1983) invece dimostrò che la prognosi era sfavorevole solo nelle neoplasie bilaterali metacrone (38%) rispetto ai tumori in monorene (71%).
Smith e collaboratori (1989) sconsigliano la semplice enucleazione del tumore perché nella loro esperienza frequentemente registravano una microinvasione della capsula tumorale.
Vantaggi: In tempi non lontani il paziente affetto da neoplasia renale in rene unico era destinato alla dialisi dopo la scontata nefrectomia radicale. Oggi ciò può non accadere grazie alla terapia chirurgica conservativa quale è la tumorectomia. Anche il paziente con insufficienza renale cronica affetto da neoplasia renale di piccole dimensioni può trarre notevoli vantaggi da questo trattamento per la possibilità di conservare quanto più parenchima renale è possibile e quindi per non aggravare ulteriormente una situazione renale già precaria.
Anche nel soggetto con 2 reni funzionanti la possibilità di conservare una maggior quantità di parenchima renale è senz’altro un vantaggio.
Svantaggi: Il principale svantaggio è costituito dal rischio di persistenza del tumore e la comparsa di una recidiva locale, la cui incidenza va dal 4 al 10%: alcune di queste recidive locali possono essere l’espressione di focolai neoplastici multipli (Campbell, 1994) non rilevati al momento dell’intervento.
Effetti collaterali: Nei casi di rene unico si potrebbe verificare una insufficienza renale transitoria legata alla ischemia indotta durante l’intervento. Inoltre l’approccio per via lombare, potendo compromettere i nervi che incrociano la ferita può portare a riduzione della sensibilità cutanea locale e/o a rilasciamento muscolare locale.
Complicanze: Complicanze intraoperatorie possibili: – rare emorragie irrefrenabili che possono rendere necessaria nefrectomia radicale e successiva dialisi se monorene (1%);
– rare emorragie intraparenchimali profuse che rendono necessario per l’emostasi una ischemia renale mediante clampaggio vascolare superiore ai 30 minuti: tale ischemia può comportare successivo irreversibile danno della funzionalità renale nel monorene ( < 1%);
– apertura della via escretrice che deve essere individuata, suturata e protetta con un stent pieloureterale da rimuovere dopo 15 giorni (1-2%);
– rare lesioni pleuriche per neoplasie polari superiori (< 1%).
Complicanze post operatorie possibili:
– ematomi perirenali che possono richiedere un reintervento chirurgico o un drenaggio percutaneo (1-2%);
– fistole urinarie che possono necessitare di un cateterismo ureterale che viene posizionato tramite cistoscopia (1-2%);
– anemizzazione da stillicidio ematico postoperatorio che può rendere necessario il ricorso a emotrasfusioni supplementari (<1%);
– complicanze trombo-emboliche (< 1%).
Attenzioni da porre alla dimissione: Il paziente deve essere dimesso con:
– terapia antitrombotica per almeno 30 giorni;
– terapia antibiotica per il tempo necessario che può variare per la guarigione ottimale delle suture interne ed esterne (10-15 giorni);
Il paziente deve essere informato sul fatto che a domicilio possono verificarsi: episodi di macroematuria associata o meno a infezione delle vie urinarie; possono dolori lombari associati eventualmente a febbre da infezione di eventuali ematomi o di urinomi perirenali.
Come comportarsi in caso di complicanze dopo la dimissione: Per qualsiasi evenienza va contattato prioritariamente il centro in cui il paziente è stato operato.
Controlli: Questa procedura non necessita solamente di un controllo postoperatorio, ma comporta per la malattia neoplastica di base un follow-up standardizzato per almeno i 5 anni successivi all’intervento.
La nefrectomia radicale
Le indagini cliniche e radiologiche consentono di diagnosticare la presenza di una neoplasia renale a possibile evoluzione prognostica sfavorevole. La malattia appare al momento attuale localizzata al solo rene e, per evitare che possa infiltrare gli organi circostanti o disseminarsi a distanza, è necessario ricorrere alla sua asportazione chirurgica. La nefrectomia radicale garantisce in questo stadio di malattia i migliori risultati in termini di controllo locale e di sopravvivenza. Non esistono al momento valide opzioni terapeutiche alternative alla chirurgia. L’intervento viene eseguito in anestesia generale e può richiedere il posizionamento preoperatorio di un sondino venoso centrale e di un catetere vescicale. L’accesso chirurgico transperitoneale prevede un’incisione mediana anteriore (xifo-sottoombelicale). L’intervento prevede l’asportazione in blocco del rene, del grasso perirenale, talvolta del surrene, e dell’uretere lombare e potrà essere completato con l’asportazione dei linfonodi regionali. Al termine dell’intervento verranno posizionati drenaggi addominali ed un sondino naso-gastrico.
Intraoperatoriamente si possono verificare lesioni del fegato e del duodeno [nefrectomia radicale destra] e della milza [nefrectomia radicale sinistra]. Meno frequenti ma possibili sono lesioni a carico della pleura e dell’ileo e del colon. Queste lesioni vengono trattate contestualmente all’intervento chirurgico con le tecniche appropriate [eventuale splenectomia o resezione epatica]. Eccezionalmente può essere necessario il ricorso ad una derivazione intestinale (colostomia temporanea o definitiva). L’emorragia può essere una complicanza intra- e post-operatoria e richiedere trasfusioni di sangue, emocomponenti o emoderivati.
Questi ultimi sono forniti dal centro trasfusionale e controllati per le malattie infettive a trasmissione ematica note [il predeposito ematico effettuato è rivolto a ridurre/evitare la necessità di trasfusioni di sangue omologo]. II decorso postoperatorio può essere complicato da patologie intestinali (ileo paralitico, occlusione, perforazione ed infarto intestinale); infettive (sepsi, infezioni urinarie, infezioni della ferita chirurgica, focolai broncopneumonici); tromboemboliche (trombosi venosa profonda, embolia polmonare) e da diastasi della ferita con possibile eviscerazione. L’asportazione di un rene può eccezionalmente rendere necessaria 1’attuazione di un programma transitorio di dialisi.
Alcune complicanze postoperatorie possono richiedere per la loro risoluzione una revisione chirurgica (emorragie, complicanze intestinali, diastasi della ferita). Tale evento si configura in circa l’1% dei casi. Una complicanza tardiva consiste nell’erniazione intestinale attraverso un difetto fasciale che si realizza in corrispondenza della ferita chirurgica (laparocele).
La degenza postoperatoria non complicata ha una durata di circa 7-10 giorni.
Cistoscopia Transuretrale
Definizione: la cistoscopia transuretrale è un esame diagnostico endoscopico che permette l’ispezione visiva delle pareti della vescica, del collo vescicale, dell’uretra e dei meati ureterali usando uno strumento detto cistoscopio.
Indicazioni: indicazioni alla cistoscopia sono l’ematuria, i disturbi della minzione di tipo irritativo ed ostruttivo non ritenuti diagnosticabili in altro modo, la calcolosi vescicale, lo studio delle neoformazioni vescicali segnalate da esami di diagnostica per immagini, o sospettate clinicamente, o sulla base di esami citologici o di rilevazione di marcatori urinari o ematici ritenuti sensibili.
Descrizione della tecnica: è una procedura ambulatoriale ed è eseguita in asepsi. Non è necessario essere digiuni e a vescica vuota. Generalmente è ben accetta dai pazienti e non richiede anestesia generale o periferica. Di solito è sufficiente lubrificare l’uretra con 5-10 cc di gel lubrificante che contiene dell’anestetico. Se il fastidio durante la procedura dovesse divenire eccessivo, l’operatore potrebbe decidere di sospendere la procedura o continuarla previo utilizzo di assistenza anestesiologica. Il cistoscopio viene introdotto nell’uretra e risale sino a raggiungere la vescica che viene distesa con soluzione irrigante per ispezionarne le pareti. Sono disponibili cistoscopi di vario calibro, rigidi e flessibili; i cistoscopi flessibili sono meglio sopportati dal paziente e consentono di eseguire la cistoscopia al letto del paziente. Quando si usa il cistoscopio rigido il paziente è supino con le gambe sollevate su dei gambali.
Durata della procedura: varia da 5 a 20 minuti a seconda della facilità con cui può essere raggiunta ed ispezionata la vescica.
Preparazione all’intervento: è consigliabile una copertura con antibiotici (profilassi).
Complicanze: sono rappresentate da lesioni dell’uretra, uretrorragia, ematuria, infezione, urgenza minzionale, ritenzione acuta di urina, pollachiuria (aumento della frequenza minzionale), bruciore minzionale; sono generalmente temporanee e facilmente curabili con terapia medica.
Controlli: in caso di disturbi urinari persistenti è indicato l’esame urine e l’urinocoltura. I restanti controllisono da stabilire in relazione alla patologia di base.
Colpoplastica anteriore
L’intervento di colpoplastica anteriore viene eseguito in anestesia e richiede un’incisione chirurgica a livello della parete vaginale anteriore. Si isolano e mobilizzano la base vescicale, la regione del collo vescicale e l’uretra prossimale dalle pareti vaginali laterali. Identificata la fascia pubocervicale, vengono posizionati dei punti di sutura sui suoi margini che vengono quindi suturati sulla linea mediana, anche in più strati, in modo da ottenere la completa obliterazione del prolasso. A seconda del giudizio dell’operatore può essere posizionata una rete a sostegno delle strutture suturate.
Le possibili complicanze sono rappresentate da recidiva del cistocele, emorragie che potrebbero richiedere la necessità di trasfusioni di sangue o emoderivati e lesioni iatrogene degli organi pelvici.
Complessivamente le lesioni vescicali e le emorragie significative non superano l’ 1%. La persistenza di duraturi disordini minzionali, come la ritenzione urinaria in assenza di alterazioni minzionali preoperatorie, è pressoché assente; l’incidenza di instabilità detrusoriale de novo non supera l’ 8%.
II decorso postoperatorio dura 3-4 giorni salvo complicazioni.
Resezione marsupializzazione laparoscopica
Definizione: I termini “resezione” e “marsupializzazione” vengono spesso usati come sinonimi: a rigore essi hanno un significato diverso anche se condividono quasi completamente la procedura di realizzazione. Resezione: asportazione completa o parziale della parete di una cisti renale; Marsupializzazione: creazione di una comunicazione fra la cavità residua della cisti e la cavità peritoneale; Laparoscopica: l’asportazione viene realizzata mediante l’effettuazione di piccole incisioni cutanee del diametro di 0,5 1,5cm e l’introduzione, attraverso queste, di strumenti ottici e chirurgici adatti.
Indicazioni: Il diametro di una cisti di oltre 8cm è causa talora di senso di peso e ballonzolio interno che possono costituire una indicazione alla rimozione.
· Cisti semplici: dolore, ematuria macroscopica, ostruzione della via escretrice, febbre, ipertensione (casi selezionati);
· Rene policistico: dolore, ematuria macroscopica, ostruzione della via escretrice, febbre. Come prima indicazione la resezione laparoscopica è più rara della agoaspirazione e sclerotizzazione per via percutanea; l’indicazione alla procedura laparoscopica è invece più frequente nelle recidive sintomatiche dopo agoaspirazione e sclerotizzazione. L’indicazione è più rara di quella alla agoaspirazione e sclerotizzazione in ragione della maggior complessità della procedura laparoscopica e al fatto che nel rene policistico la recidiva è frequente con qualunque procedura, cosa che induce a proporre la procedura più semplice e meno invasiva; d’altra parte il numero di cisti trattabile per ogni seduta è decisamente maggiore nelle procedure laparoscopiche.
Descrizione della tecnica: Anestesia generale con curarizzazione ed intubazione per tutte le tecniche laparoscopiche. Approccio transperitoneale: introduzione di un apposito ago (generalmente attraverso l’ombelico) nella cavità addominale, che viene distesa insufflando anidride carbonica, in modo da allontanare le pareti addominali dai visceri e creare uno spazio in cui gli organi siano visibili. Allargamento del diametro del tramite fino a 1 1,5cm ed introduzione di una apposita telecamera. Controllando dall’interno con la telecamera, si introducono attraverso 3-4 piccole incisioni cutanee (sempre del diametro di 1-1,5cm) altrettanti strumenti appositi. Si incide il peritone posteriore attraversando l’addome (il peritoneo è una membrana che racchiude i visceri: il rene è un organo posizionato a ridosso della parete posteriore dell’addome, dietro i visceri), si incide il grasso che circonda il rene e si isola la parete della cisti. Si incide la parete della cisti e si svuota il contenuto liquido che viene analizzato. Si reseca la parete della cisti nella parte che sporge dal rene, con un elettrobisturi o un laser. La parte concava a contatto con il tessuto renale viene risparmiata in quanto facilmente sanguinante (o può essere elettrocoagulata). I margini circolari dell’incisione vengono elettrocoagulati ( o si posizionano clips nei punti maggiormente sanguinanti). Si ricopre la cavità residua con grasso perirenale e si termina la procedura. Prosecuzione dell’intervento con marsupializzazione (55.31): invece di passare all’ultimo punto precedente, si crea con l’elettrobisturi una finestra nella parete posteriore del peritoneo in modo che la parte di parete della cisti a contatto con il parenchima renale rimanga in comunicazione con la cavità peritoneale: il liquido che può eventualmente continuare ad essere prodotto dalla parte di parete cistica residua si riversa nella cavità peritoneale dove viene riassorbito; questa procedura dovrebbe diminuire la percentuale di recidiva della cisti (studi clinici controllati che dimostrino definitivamente un chiaro vantaggio di questa procedura non sono disponibili). Approccio retroperitoneale: la cavità addominale contenente i visceri non viene aperta, ma si crea uno spazio nel grasso che circonda il rene dietro i visceri, nella parte posteriore dell’addome. Ciò si realizza tramite una piccola incisione (0,5 1,5cm di diametro) dietro il fianco dal lato interessato, in cui si posiziona un palloncino che viene gonfiato con ½ – 1 litro di liquido. Una volta sgonfiato e rimosso il palloncino si introduce nella cavità neoformata una apposita telecamera e, sotto controllo visivo interno, si posizionano con 2-3 piccole incisioni (sempre 0,5-1,5 cm di diametro) altrettanti strumenti con i quali si effettuano, gli stessi tempi chirurgici sopra descritti. La differenza risiede quindi nella non necessità di attraversamento dell’addome: in sostanza una invasività ancora minore.
Preparazione all’intervento:
· Lassativo;
· Profilassi antibiotica· Reazione di flocculazione per iatidosi;
· Eventuale cateterismo dell’uretere e della pelvi renale.
Durata dell’intervento: Da 60 a 180 minuti. Maggiori difficoltà nei pazienti obesi.
Tipo e durata del ricovero: Dimissione da 1 a 3 giorni dopo l’intervento.
Risultati: La laparoscopia in Urologia è ancora una procedura poco diffusa ed i risultati non sono generalizzabili. Le procedure effettuate presso centri esperti si sono dimostrate efficaci nella asportazione delle cisti e nella scomparsa dei sintomi. In questi centri la percentuale di successo è vicina al 100%.
Vantaggi: Si tratta di procedure chirurgiche effettuate sotto visione diretta, con tutti i crismi di un intervento a cielo aperto, ma con invasività decisamente inferiore. Le percentuali di recidiva sono inferiori a quelle delle procedure percutanee (agoaspirazione e sclerotizzazione, resezione percutanea).
Svantaggi: Maggiore invasività e complessità rispetto alle procedure di agoaspirazione e sclerotizzazione ; procedure da effettuare in centri esperti.
Effetti collaterali: Nessuno.
Complicanze: L’incidenza ed il tipo di complicanze sono estremamente variabili a seconda dei centri e non sono generalizzabili: sono minori nei centri esperti, sia come numero che come gravità. Sono state descritte: lesioni all’intestino, al fegato, alla milza, alla pleura, all’uretere, alla via escretrice intrarenale, ematoma perirenale, fistola urinosa. Nell’1% dei casi può essere presente nella cisti una neoplasia: in questo caso le cellule neoplastiche contenute nel liquido cistico possono diffondere nel campo operatorio. Quest’ultima eventualità è comune a tutte le cisti e a tutte le procedure di rimozione, compreso l’intervento a cielo aperto.
Attenzioni da porre alla dimissione: Periodo di vita morigerata di 4-5gg. La normale attività può essere ripresa dopo circa una settimana.
Come comportarsi in caso di complicanze dopo la dimissione: Rivolgersi al Centro dove è stata effettuata la procedura.
Controlli: Ecografia a 3 e 6 mesi poi annuale per 3-5 anni.
La nefrectomia semplice
L’intervento viene eseguito in anestesia generale e può richiedere il posizionamento preoperatorio di un sondino venoso centrale e di un catetere vescicale. L’accesso chirurgico retroperitoneale prevede un’incisione obliqua sul fianco. L’intervento prevede l’asportazione del rene e dell’uretere lombare. Al termine dell’intervento verrà posizionato un drenaggio nella loggia renale e talvolta un sondino naso-gastrico. Intraoperatoriamente si possono verificare lesioni del fegato e del duodeno [nefrectomia destra] e della milza [nefrectomia sinistra]. Meno frequenti ma possibili sono lesioni a carico della pleura e dell’ileo e del colon. Queste lesioni vengono trattate contestualmente all’intervento chirurgico con le tecniche appropriate [eventuale splenectomia o resezione epatica]. Eccezionalmente può essere necessario il ricorso ad una derivazione intestinale (colostomia temporanea o definitiva). L’emorragia può essere una complicanza intra- e post-operatoria e richiedere trasfusioni di sangue, emocomponenti o emoderivati. Questi ultimi sono forniti dal centro trasfusionale e controllati per le malattie infettive a trasmissione ematica note [il predeposito ematico effettuato è rivolto a ridurre/evitare la necessità di trasfusioni di sangue omologo]. II decorso postoperatorio può essere complicato da patologie intestinali (ileo paralitico, occlusione, perforazione ed infarto intestinale); infettive (sepsi, infezioni urinarie, infezioni della ferita chirurgica, focolai broncopneumonici); tromboemboliche (trombosi venosa profonda, embolia polmonare) e da diastasi della ferita. L’asportazione di un rene può eccezionalmente rendere necessaria l’attuazione di un programma transitorio di dialisi. Alcune complicanze postoperatorie possono richiedere per la loro risoluzione una revisione chirurgica (emorragie, complicanze intestinali, diastasi della ferita). Tale evento si configura in circa l’1% dei casi. Una complicanza tardiva consiste nell’erniazione intestinale attraverso un difetto fasciale che si realizza in corrispondenza della ferita chirurgica (lombocele). La degenza postoperatoria non complicata ha una durata di circa 7-10 giorni.
Ureterorenoscopia
L’ureterorenoscopia (URS) viene eseguita in anestesia generale. La procedura prevede l’introduzione dell’ureterorenoscopio nell’uretere. Sotto il controllo diretto della vista si esplora il decorso dell’uretere fino a raggiungere il calcolo. A questo punto si potrà procedere alla sua frammentazione in situ con sonda elettroidraulica o ultrasonica e successiva rimozione dei frammenti creatisi con cestellamento oppure alla sua estrazione endoscopica diretta, qualora il calcolo sia di modeste dimensioni.
Le principali complicanze sono rappresentate dalle lesioni dell’uretere come la sua perforazione o avulsione che possono rendere necessario un eventuale intervento chirurgico riparativo ed eccezionalmente la nefrectomia. Le lesioni dell’uretere possono esitare in stenosi che richiedono un successivo trattamento endoscopico o chirurgico. Nonostante la percentuale di clearance completa del calcolo dopo ureterorenoscopia sia molto elevata (60-90% in base alla localizzazione del calcolo), è comunque possibile la persistenza di calcoli o di piccoli frammenti all’interno della via escretrice che necessitano di ulteriori trattamenti per la loro completa bonifica.
Ureterorenoscopia
L’ureterorenoscopia (URS) viene eseguita in anestesia generale. La procedura prevede l’introduzione dell’ureterorenoscopio nell’uretere. Sotto il controllo diretto della vista si esplora il decorso dell’uretere fino a raggiungere il calcolo. A questo punto si potrà procedere alla sua frammentazione in situ con sonda elettroidraulica o ultrasonica e successiva rimozione dei frammenti creatisi con cestellamento oppure alla sua estrazione endoscopica diretta, qualora il calcolo sia di modeste dimensioni.
Le principali complicanze sono rappresentate dalle lesioni dell’uretere come la sua perforazione o avulsione che possono rendere necessario un eventuale intervento chirurgico riparativo ed eccezionalmente la nefrectomia. Le lesioni dell’uretere possono esitare in stenosi che richiedono un successivo trattamento endoscopico o chirurgico. Nonostante la percentuale di clearance completa del calcolo dopo ureterorenoscopia sia molto elevata (60-90% in base alla localizzazione del calcolo), è comunque possibile la persistenza di calcoli o di piccoli frammenti all’interno della via escretrice che necessitano di ulteriori trattamenti per la loro completa bonifica.
Uretroplastica
Definizione: l’Uretroplastica è l’intervento chirurgico di riparazione dell’uretra il cui scopo è:
– risolvere l’ostacolo, determinato dalla stenosi (ovvero restringimento) del canale uretrale, allo svuotamento della vescica;
– riparare una fistola uretrale o un uretrocele (sacca diverticolare dell’uretra);
– rimuovere un calcolo uretrale e riparare l’uretra.
Indicazioni:
Stenosi dell’uretra anteriore: tratto uretrale bulbare o penieno.
Stenosi dell’uretra posteriore: tratto uretrale prostatico e membranoso.
Fistola uretrale.
Uretrocele.
Calcolo uretrale.
Descrizione della tecnica: l’uretroplastica consiste nella riparazione chirurgica del canale uretrale. In relazione alle caratteristiche della lesione (lunghezza e causa della stenosi, fistola o uretrocele, presenza di calcolo uretrale) e alle condizioni dei tessuti locali, il chirurgo si riserva, durante l’intervento, la possibilità di scegliere da un ventaglio di tecniche diverse la soluzione chirurgica più idonea al caso:
A) URETROPLASTICA IN TEMPO UNICO
– Anastomosi termino-terminale: sezione a tutto spessore dell’uretra, resezione del tessuto fibro-sclerotico, causa del restringimento del canale uretrale, e ricongiungimento dei due monconi uretrali.
– Uretroplastica di Ampliamento del lume uretrale con impiego di trapianti di tessuto cutaneo o mucoso.
B) URETROPLASTICA IN DUE TEMPI
La riparazione dell’uretra avviene in due interventi divisi da un intervallo di tempo variabile a seconda dell’evoluzione della patologia uretrale stenosante (solitamente superiore a 10 mesi).
– Uretroplastica 1° tempo: consiste nell’apertura del canale uretrale (Uretrotomia chirurgica) e nella deviazione delle urine tramite la formazione di un nuovo meato urinario a livello del perineo (Uretrostomia perineale) o lungo la superficie ventrale del pene (Uretrostomia peniena). Nei casi caratterizzati da tessuti uretrali gravemente danneggiati e con lesioni displasiche sospette, questo intervento consente di bonificare
il tratto uretrale malato (tramite Uretrectomia parziale) e deviare le urine nell’attesa che i tessuti guariscano e sia possibile ricostruire successivamente la continuità del lume uretrale.
– Uretroplastica 2° tempo: consiste nella chiusura chirurgica della deviazione urinaria suddetta (Uretrostomia perineale o peniena) con conseguente ricostruzione della continuità del lume uretrale. Alla fine, quindi, il paziente ritorna ad urinare dal meato urinario originario.
Nell’intervallo tra il 1° ed il 2° tempo di un’uretroplastica in due tempi potrà essere necessario ricorrere ad interventi chirurgici di revisione dell’uretra a causa del progredire della patologia stenosante uretrale di base. Queste revisioni possono corrispondere dal punto di vista chirurgico a delle vere e proprie uretroplastiche. È sconsigliabile effettuare il 2° tempo chirurgico dell’uretroplastica prima che sia trascorso un periodo di almeno 12 mesi libero da ricadute stenosanti, in cui cioè non sia stato necessario effettuare alcuna manovra sul canale uretrale. Tutte le uretroplastiche, tranne l’anastomosi termino-terminale, prevedono la possibilità di dover far ricorso all’impiego di trapianti di tessuto privi di un proprio supporto vascolare (innesti) o con un supporto vascolare (lembi). Gli innesti generalmente consistono di cute prelevata dal prepuzio (tramite, o meno, circoncisione) o da altre regioni cutanee extragenitali, oppure di mucosa generalmente prelevata dall’interno della guancia o del labbro. I lembi, invece, consistono di aree cutanee prepuziali con il proprio peduncolo vascolare. Tutti gli interventi chirurgici sull’uretra prevedono la possibilità di effettuare l’esame istologico di campione dell’uretra allo scopo di evidenziare patologie che necessitano di ulteriori terapie o di un attento controllo nel tempo.
Le stenosi dell’uretra posteriore
(prostatica o membranosa) sono generalmente di natura post-traumatica (traumi del bacino). Rispetto alle riparazioni dell’uretra anteriore l’uretroplastica nel tratto uretrale posteriore un intervento più complesso e invasivo. In alcuni casi può essere necessario ricorrere ad un doppio accesso chirurgico (perineale e addominale con apertura della vescica) in quanto la zona uretrale situata dietro il pube è difficilmente raggiungibile. Il paziente deve sapere che l’intervento può danneggiare la funzione erettile e la continenza urinaria (funzioni già in parte compromesse dal trauma pelvico) poiché la riparazione chirurgica coinvolge i nervi erettili e l’apparato sfinterico urinario.
Preparazione: è raccomandata la profilassi antibiotica e antitrombotica. L’impiego dei colluttori orali nel pre e post-operatorio, anche se non necessaria, potrebbe migliorare l’igiene orale in relazione al prelievo della mucosa buccale.
Durata della procedura: la durata dell’intervento varia a seconda della tecnica chirurgica scelta dall’operatore e del tratto (lunghezza e sede) di uretra interessato dalla lesione. In genere un’uretroplastica 1° tempo dura tra 1 e 2 ore, un’uretroplastica 2° tempo dura 1.5 ore. Un’uretroplastica in tempo unico dura tra 2 e 3 ore per le stenosi dell’uretra anteriore e tra 3 e 5 ore per le stenosi dell’uretra posteriore.
Tipo e durata di ricovero: nelle stenosi uretrali anteriori l’intervento deve essere eseguito preferibilmente in anestesia generale. La riparazione delle stenosi dell’uretra posteriore viene eseguita in anestesia generale. A volte durante l’intervento, viene lasciato un tubo di drenaggio della ferita che verrà rimosso dopo alcuni giorni. Durante l’intervento viene applicato un catetere vescicale. In alcuni casi (soprattutto nelle uretroplastiche posteriori) viene applicato anche un catetere vescicale per via sovrapubica. Nel postoperatorio il paziente dovrà restare a letto per alcuni giorni: 1 giorno dopo anastomosi termino-terminale, 2-3 giorni dopo uretroplastica 1° tempo, 3 giorni dopo uretroplastica con impiego di innesti (per consentire l’attecchimento dei tessuti trapiantati), 2-3 giorni dopo uretroplastiche posteriori. Successivamente al paziente verrà consigliata cautela, per circa 15 giorni, nei movimenti allo scopo di minimizzare i possibili traumi sul perineo, sui genitali e sull’uretra: in quest’ottica sarà utile l’impiego di slip aderenti e mantenere il pene in alto, ribaltato in addome. La durata della degenza ospedaliera e del mantenimento del catetere dipende dal tipo di uretroplastica. Nelle uretroplastiche 1° tempo dell’uretra bulbare (uretrostomia perineale) il catetere viene rimosso all’incirca dopo 6 giorni e la degenza media è di 7 giorni. Nelle uretroplastiche 1° tempo dell’uretra peniena (uretrostomia peniena) il catere viene rimosso dopo 1 giorno e la degenza media è di 2 giorni. Nelle uretroplastiche 2° tempo la degenza è 3-4 giorni ed il catetere viene rimosso dopo 7-21 giorni. Nelle uretroplastiche in tempo unico la degenza media è 4-5 giorni ed il catetere verrà rimosso dopo 15 giorni in caso di anastomosi termino-terminale, dopo 21 giorni in caso di uretroplastica di ampliamento con innesti di cute o mucosa. In tutti i casi la variazione circa il tempo di mantenimento del catetere dipenderà dalla complessità della ricostruzione uretrale che varierà da caso a caso. Prima della rimozione del catetere la vescica viene riempita con mezzo di contrasto ed, una volta rimosso il catetere, il canale uretrale viene controllato radiologicamente mentre il paziente urina (cistouretrografia minzionale). Nei casi in cui è impiegata la mucosa buccale, il paziente dovrà alimentarsi con una dieta liquida fredda solo nella prima giornata post-operatoria, riprendendo successivamente la normale dieta alimentare.
Risultati:
A. Sintomatologia: dopo la rimozione del catetere, il miglioramento della sintomatologia consiste in un aumento della forza del flusso urinario, scomparsa della sensazione di ostacolo allo svuotamento vescicale e durante l’eiaculazione, riduzione del residuo post-minzionale, riduzione progressiva e scomparsa delle ripetute infezioni urinarie. Bisogna, tuttavia, segnalare che in stenosi inveterate da lungo tempo, la ripresa della capacità vescicale contrattile originaria sarà graduale e lenta.
B. Risultati Obiettivi: le uretroplastiche in tempo unico hanno una percentuale di successo tra il 70 ed il 98%: il 98% nell’anastomosi termino-terminale, il 90% nell’uretroplastica di ampliamento con innesto di cute o mucosa. Le uretroplastiche in 2 tempi hanno un probabilità di successo del 76%. In realtà il risultato dipende dall’evoluzione della patologia uretrale stenosante: il processo fibro-sclerotico in corrispondenza della cicatrice potrebbe riattivarsi ed, inoltre, i tessuti extrauretrali coinvolti nella uretroplastica vanno incontro ad un progressivo deterioramento nel tempo. Le percentuali di successo dell’uretrotomia (30%), che consiste nel trattamento endoscopico delle stenosi, sono nettamente inferiori a quelle delle uretroplastiche (superiori in media all’85%): la riparazione chirurgica a cielo aperto rappresenta pertanto il trattamento di scelta per le stenosi uretrali.
Vantaggi:
– Risultati migliori e più duraturi nel trattamento delle stenosi uretrali.
– Unica terapia possibile in caso di stenosi uretrali lunghe e complesse, o di fistole o uretrocele.
– Esecuzione di esame istologico completo.
– Costi complessivi non elevati.
Svantaggi:
– Lungo iter chirurgico nelle uretroplastiche in due tempi. Successivamente all’esecuzione del 1° tempo dell’uretroplastica il paziente avrà il disagio dovuto alla fuoriuscita delle urine e dello sperma dal neomeato della deviazione urinaria (uretrostomia peniena o perineale) con conseguente necessità di urinare in posizione seduta e impotenza generandi: rimarrà comunque conservata la funzione erettile del pene e la capacità di mantenere l’attività sessuale.
– Possibili complicanze a carico dell’apparato uretro-genitale.
– L’ematoma buccale, l’ematoma esterno della guancia o del labbro, lo sconforto per l’eventuale prelievo della mucosa buccale (si risolvono, comunque, in pochi giorni).
Complicanze:
– Emorragia post-operatoria: la necessità dell’emotrasfusione è rarissima nella riparazione delle stenosi anteriori, ma rara nelle riparazioni delle stenosi uretrali posteriori.
– Infezioni urinarie ed epididimiti: si risolvono gradualmente alla rimozione del catetere.
– Sindrome compartimentale (dovuta alla prolungata posizione litotomica intraoperatoria): rarissima. L’impiego di particolari cosciali e l’attenzione del chirurgo nel posizionare il paziente ha annullato quasi del tutto questa complicanza.
– Incontinenza urinaria: potrebbe verificarsi dopo uretroplastica anteriore nei pazienti già sottoposti ad interventi sulla prostata e con stenosi dell’uretra coinvolgenti lo sfintere urinario distale residuo. Questa possibilità è ridotta da determinate accortezze tecniche durante l’intervento. La riparazione delle stenosi dell’uretra posteriore può essere più frequentemente causa di una lesione dell’apparato sfinterico urinario già danneggiato dal trauma pelvico.
– Impotenza erettile post-operatoria: è molto rara ma documentata nelle riparazioni chirurgiche del tratto uretrale bulbare prossimale, in vicinanza cioè dello sfintere urinario distale dove le manovre chirurgiche potenzialmente potrebbero danneggiare i nervi dell’erezione. L’integrità di questi ultimi è più frequentemente a rischio nella riparazione delle stenosi dell’uretra posteriore.
– Dolori perineali nella sede della ferita: si riducono e scompaiono a distanza di tempo dall’intervento.
– Ematoma ed edema dei genitali o del perineo: non è rarissimo ma si riassorbe gradualmente.
– Deiscenza della ferita: guarigione per seconda intenzione.
– Cicatrice peniena, Curvatura peniena, Rotazione del glande: può a volte essere necessario un atto chirurgico correttivo successivo.
– Fistola uretra: nella maggior parte dei casi si risolve con un prolungamento del mantenimento del catetere dopo l’intervento.
– Uretrocele (sacca diverticolare dell’uretra in corrispondenza della riparazione uretrale): può necessitare di una riparazione chirurgica se è causa di sgocciolamento post-minzionale e di uretriti ripetute.
– Parestesie temporanee del labbro o della guancia da cui è stato effettuato il prelievo.
– Recidiva della stenosi uretrale: vedi quanto detto precedentemente a proposito delle percentuali di successo delle uretroplastiche. Può rendersi necessaria la correzione chirurgica.
Attenzioni da porre dopo la dimissione: terapia antisettica urinaria fino al terzo giorno successivo alla rimozione del catetere. Nei 45 giorni successivi alle dimissioni è suggerito un periodo di vita morigerata: ridurre lo stress fisico, evitare l’attività sessuale. Normale deve essere l’introduzione dei liquidi per via orale. Nei 12 mesi successivi all’intervento va evitata ogni possibile azione traumatica sulla regione genitoperineale: evitare l’uso di cicli, motocicli, trattori, cavallo; evitare la prolungata posizione seduta, soprattutto su sedili rigidi; evitare sport da contatto che possano causare traumi nella regione interessata; seguire delle regole dietetiche (evitare vini bianchi, spumanti, birra, cibi piccanti).
Come comportarsi in caso di complicanze a domicilio: in caso di fuoriuscita di sangue tra meato uretrale e catetere sdraiarsi a letto con una borsa del ghiaccio in compressione sul perineo e sul pene: se il sanguinamento persiste e tende ad aumentare, consultare l’urologo. In caso di fuoriuscita di secrezioni purulente tra meato uretrale e catetere, aiutare la fuoriuscita del pus spremendo con le dita sul canale uretrale dal perineo sullo scroto e sul pene in direzione del meato. In caso di erezioni dolorose, bagnare il pene con acqua fredda o mettere la borsa del ghiaccio sul pene. In caso di malfunzionamento (ostruzione) del catetere vescicale, eseguire dei lavaggi sostenuti di soluzione fisiologica con un siringone a becco largo da 60 cc. In caso di fuoriuscita accidentale del catetere prima dei tempi stabiliti, tentare di fare riposizionare con “estrema delicatezza”, e senza forzare l’ostacolo, un catetere vescicale Foley morbido 14 ch.: in caso di fallimento di questa manovra far posizionare una cistostomia sovrapubica. In caso di ritenzione acuta di urina successivamente alla prestabilita rimozione del catetere, tentare di fare riposizionare con “estrema delicatezza” un catetere vescicale Foley morbido o monouso rigido 8-10 ch (in caso di fallimento di questa manovra far posizionare una cistostomia sovrapubica) e ricontattare l’urologo che ha eseguito l’intervento.
Controlli: il primo controllo post-operatorio (cistouretrografia minzionale) viene eseguito al momento della rimozione del catetere: nella uretroplastica 1° tempo (uretrostomia perineale o peniena) non è necessario eseguire il controllo radiologico dopo la rimozione del catetere. Successivamente verranno eseguiti 2-3 o più controlli clinici nel 1° anno.
Uretrotomia endoscopica
Definizione: l’Uretrotomia Interna consiste nel trattamento per via endoscopica dei restringimenti del canale uretrale di diversa eziologia. Lo scopo è l’incisione e l’apertura del canale uretrale ristretto nella speranza che questo aumento di calibro si mantenga nel tempo.
Indicazioni: stenosi dell’uretra congenite (valvole uretrali) e acquisite.
Descrizione della tecnica: l’incisione endoscopica del canale uretrale con una lama “a freddo” può essere effettuata alla cieca (uretrotomia secondo Otis) o sotto visione (uretrotomia secondo Sachse). Da alcuni anni l’uretrotomia interna può essere effettuata anche con l’impiego del laser.
Durata della procedura: l’intervento dura solitamente pochi minuti e può essere eseguito sia in anestesia generale che loco-regionale: a volte, può anche essere sufficiente una semplice sedazione del paziente.
Tipo e durata di ricovero: dopo l’intervento viene lasciato in situ un catetere vescicale. La scelta riguardo il tempo di mantenimento del catetere e la sua sostituzione con cateteri di calibro progressivamente più grande, dipende dalle caratteristiche della stenosi e, più spesso, dalle abitudini del chirurgo. In assenza di complicazioni la degenza ospedaliera è di 1-2 giorni. Nell’immediato post-operatorio può verificarsi un sanguinamento temporaneo tra catetere e meato uretrale.
Risultati: successivamente alla rimozione del catetere si assiste ad una scomparsa della sintomatologia ostruttiva con miglioramento dei parametri minzionali. Nelle stenosi dell’uretra anteriore (peniena e bulbare) i risultati positivi a lungo termine della uretrotomia interna (30%) sono nettamente inferiori rispetto alla chirurgia a cielo aperto delle uretroplastiche (90%). Nelle stenosi dell’uretra posteriore (membranosa e prostatica) l’uretrotomia interna fornisce dei risultati migliori che nel tratto uretrale anteriore ma comunque sempre inferiori alla chirurgia a cielo aperto.
Vantaggi:
– Minore invasività rispetto alla chirurgia a cielo aperto (uretroplastica).
– Unica terapia possibile in determinati casi in cui l’uretroplastica rischierebbe di compromettere l’erezione o la continenza urinaria.
– Costi non elevati.
– Bassa percentuale di complicanze.
Svantaggi:
– Bassa percentuale di successo a lungo termine.
– Mancata esecuzione dell’esame istologico.
– Il danneggiamento della parete uretrale successivo all’intervento endoscopico può trasformare una lesione uretrale corta e semplice in una lesione più lunga e complicata che necessita di una riparazione chirurgica più complessa di quanto non fosse necessario prima del trattamento endoscopico: questo rappresenta lo svantaggio maggiore dell’uretrotomia interna.
Complicanze: la perforazione della parete uretrale (falsa strada) può condurre alla formazione di fistole uretrali e ascessi periuretrali.
Attenzioni da porre alla dimissione: terapia antisettica urinaria fino al terzo giorno successivo alla rimozione del catetere vescicale. Nei pazienti con una lesione cicatriziale uretrale potenzialmente a rischio di evoluzione fibro-sclerotica con recidiva della stenosi si consiglia di evitare nei mesi successivi all’intervento ogni possibile azione traumatica sulla regione genito-perineale: evitare l’uso di cicli, motocicli, trattori, cavallo; evitare la prolungata posizione seduta, soprattutto su sedili rigidi; evitare sports da contatto che possano causare traumi nella regione interessata; seguire delle regole dietetiche (evitare vini bianchi, spumanti, birra, cibi piccanti).
Come comportarsi in caso di complicanze a domicilio: in caso di malfunzionamento (ostruzione) del catetere vescicale, eseguire dei lavaggi sostenuti di soluzione fisiologica con un siringone a becco largo da 60 cc: se questa manovra non ottiene il risultato sperato, contattare l’urologo.
Controlli: nel corso dei mesi successivi all’uretrotomia il paziente dovrà effettuare dei periodici controlli per valutare la validità del flusso urinario e dello svuotamento vescicale: uroflussometria ed ecografia vescicale. Se, sulla base di questi esami, si verifica il dubbio di una recidiva della stenosi uretrale, l’urologo potrà decidere di approfondire gli accertamenti con un’uretrografia retrograda e minzionale ed una uretroscopia.
Cateterismo ureterale
Definizione: il cateterismo ureterale è una procedura diagnostica o terapeutica consistente nell’introduzione in uretere o nella pelvi renale di un catetere ureterale attraverso un cistoscopio.
Indicazioni: è una procedura diagnostica:
a) nel caso in cui viene seguito dall’iniezione di mezzo di contrasto per praticare una ureteropielografia retrograda;
b) nel caso in cui si voglia praticare un esame citologico selettivo della via urinaria (raccogliendo il liquido di lavaggio iniettato attraverso il catetere).È una procedura terapeutica necessaria da applicare in caso di ostruzione ureterale da causa intrinseca o estrinseca. Da oltre 30 anni, ma soprattutto, negli ultimi 15, sono entrati comunemente nella pratica clinica cateteri ureterali autostatici, per cui oggi, parlare di cateterismo ureterale per ostruzione si intende quasi sempre “posizionamento di stent autostatico”. Ma il cateterismo ureterale non autostatico ha ancora indicazioni ben precise:
1) valutazione funzionale del rene attraverso la misura selettiva delle urine eliminate e la qualità delle stesse (poco praticata);
2) cateterismo di pionefrosi con grossi cateteri poliforati che funzionano per caduta, meglio di uno stent che richiede sempre la peristalsi ureterale (utile in casi selezionati) per un ottimale funzionamento;
3) cateterismo di breve durata (24-48 ore) a seguito di manovre operative come ureteroscopia, quando si vuole prevenire una ostruzione ureterale da edema.
Descrizione della tecnica: il cateterismo ureterale viene praticato in sala operatoria o endoscopica, su letto radio-trasparente, con l’ausilio di amplificatore di brillanza. Può essere effettuato in anestesia locale, in sedazione o in casi eccezionali in anestesia. Si inserisce in vescica il cistoscopio: attraverso questo si fa passare un piccolo catetere (il catetere ureterale) che viene inserito nel meato ureterale. Da qui si procede nell’uretere fino a raggiungere l’ostacolo. Per superare l’ostacolo, nel caso in cui questo non avvenga semplicemente, si usano cateteri ureterali all’interno dei quali possano passare filiguida che con particolari movimenti superano gli ostacoli e consentono al catetere ureterale di pervenire nella pelvi renale e drenare il rene ostruito. Successivamente si può applicare il catetere autostatico, che è dotato di una doppia virgola (o j o coda di maiale) con la quale si ancora nel rene e nella vescica, diventando così autostatico. Dopo questa manovra può essere lasciato un catetere vescicale per 24 ore allo scopo di evitare il reflusso da intolleranza vescicale dello stent che si verifica soprattutto nelle prime ore.
Preparazione all’intervento: la chemioantibioticoprofilassi deve iniziare il giorno prima dell’intervento se si tratta di una procedura diagnostica. Se il cateterismo ureterale è inteso come procedura per risolvere un’ostruzione, di solito il paziente sta già praticando una terapia antibiotica.È sempre utile, se possibile, una buona preparazione intestinale.
Durata dell’intervento: i tempi di effettuazione sono molto variabili: da pochissimi minuti in caso di facile superamento dell’ostruzione a tempi più lunghi (max 15-20 minuti) nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una ostruzione complessa.
Tipo e durata del ricovero: la procedura può essere eseguita in regime ambulatoriale, in DH o in regime di ricovero in relazione al tipo di ostruzione, al tipo di anestesia e al tipo di paziente che ci si trova di fronte.
Risultati: i risultati, in termini di riuscita della procedura sono quasi sempre buoni.
Vantaggi: si tratta di una procedura tecnicamente semplice, mini-invasiva, in grado di risolvere ostruzioni ureterali di ogni tipo.
Svantaggi: l’ostruzione precoce del catetere ureterale non consente il funzionamento ottimale quando la peristalsi ureterale non è più valida (uretere neoplastico, fibrosi estesa dell’uretere). In questi casi il drenaggio migliore si ottiene con la nefrostomia percutanea.
Effetti collaterali: i portatori di catetere ureterale tipo stent di solito lamentano, soprattutto nei primi giorni disturbi urinari di tipo irritativo, in relazione all’intolleranza dell’estremo vescicale dello stent. Esiste peraltro una variabilità di tolleranza in relazione al materiale di composizione dello stent e in relazione alla sopportazione personale del paziente.
Complicanze: le complicanze post-operatorie precoci sono:
1) il dolore lombare talora legato al reflusso vescico-renale;
2) l’ematuria, entrambi dovuti al traumatismo e all’irritazione prodotti dal catetere ureterale;
3) i sintomi irritativi vescicali (frequenza minzionale, urgenza, incontinenza, ecc.) dovuti al contatto meccanico dell’estremo inferiore dello stent con la parete vescicale (molto variabili, dalla tolleranza assoluta all’intolleranza totale che talora richiede la rimozione dello stent).
Le complicanze tardive sono:
1) sviluppo di incrostazioni, molto variabile in relazione alle caratteristiche chimico-fisiche delle urine dei pazienti; può riguardare l’estremo prossimale o distale e talora tutto lo stent;
2) deposizionamento dello stent: verso l’alto, in tal caso deve essere recuperato attraverso una ureteroscopia operativa; verso il basso, in tal caso va riposizionato con una nuova manovra cistoscopia;
3) ostruzione dello stent con assenza di deflusso peritubulare: questa è un’evenienza che accade di frequente quando ci si trova di fronte ad una ostruzione estrinseca di natura neoplastica; in questi casi, la costrizione estrinseca da parte della massa neoplastica e l’infiltrazione neuro-muscolare dell’uretere con il blocco della peristalsi che ne consegue, lasciano funzionare lo stent solo per via intracanalicolare, ma questa ha una durata breve. In tali casi il miglior drenaggio dell’ostruzione è la nefrostomia percutanea, sempre che il paziente, avendo una lunga aspettativa di vita, non possa beneficiare di una derivazione urinaria chirurgica congrua;
4) rottura dello stent: di solito avviene quando questo viene tenuto dal paziente oltre il limite previsto per quello specifico materiale. È necessario consegnare al paziente il cartellino di accompagnamento datato che specifica i tempi di rimozione o eventuale sostituzione dello stent;
5) l’infezione sintomatica delle vie urinarie è piuttosto comune nei portatori di stent; non sempre è trattabile con successo con antibiotici.
Attenzioni da porre alla dimissione: nel post-operatorio il paziente sottoposto al posizionamento di uno stent deve praticare una terapia antibiotica e talora con antispastici vescicali, per evitare il cistospasmo da intolleranza dell’estremo vescicole dello stent. È consigliato di bere molto allo scopo di avere una diuresi abbondante. Al paziente deve essere rilasciato un cartellino nel quale viene indicata la data di rimozione dello stent. Questa informazione deve essere anche inserita in un registro ospedaliero.
Come comportarsi in caso di complicanze insorte dopo la dimissione: in caso di disturbi irritativi vescicali può far uso di antispastici selettivi vescicali prescritti anche dal medico curante. In caso di febbre persistente e dolore dopo 6-7 giorni deve riconsultare il centro urologico di riferimento perché probabilmente siamo di fronte ad un cattivo funzionamento dello stent.
Controlli: deve effettuare controlli radiografici, ecografici e di laboratorio, in relazione alla patologiaostruttiva per la quale si è proceduti al posizionamento dello stent.
La nefroureterectomia
La nefroureterectomia si esegue in presenza di una neoplasia uroteliale, che interessa il bacinetto renale e/o l’uretere. L’intervento viene eseguito in anestesia generale e può richiedere il posizionamento preoperatorio di un sondino venoso centrale e di un catetere vescicale.
L’accesso chirurgico retroperitoneale prevede un’incisione obliqua sul fianco ed una incisione mediana ombelico-pubica; l’accesso transperitoneale una incisione xifo-pubica.
L’intervento prevede l’asportazione del rene e dell’uretere in toto, compresa una piccola porzione di vescica, dove entra l’uretere. Al termine dell’intervento verrà posizionato un drenaggio nella loggia renale e talvolta un sondino naso-gastrico; il catetere vescicale va mantenuto per circa una settimana. Intraoperatoriamente si possono verificare lesioni del fegato e del duodeno [nefrectomia destra] e della milza [nefrectomia sinistra]. Meno frequenti ma possibili sono lesioni a carico della pleura e dell’ileo e del colon. Queste lesioni vengono trattate contestualmente all’intervento chirurgico con le tecniche appropriate [eventuale splenectomia o resezione epatica]. Eccezionalmente può essere necessario il ricorso ad una derivazione intestinale (colostomia temporanea o definitiva).
L’emorragia può essere una complicanza intra- e post-operatoria e richiedere trasfusioni di sangue, emocomponenti o emoderivati. Questi ultimi sono forniti dal centro trasfusionale e controllati per le malattie infettive a trasmissione ematica note [il predeposito ematico effettuato è rivolto a ridurre/evitare la necessità di trasfusioni di sangue omologo]. II decorso postoperatorio può essere complicato da patologie intestinali (ileo paralitico, occlusione, perforazione ed infarto intestinale); infettive (sepsi, infezioni urinarie, infezioni della ferita chirurgica, focolai broncopneumonici); tromboemboliche (trombosi venosa profonda, embolia polmonare) e da diastasi della ferita. L’asportazione di un rene può eccezionalmente rendere necessaria 1’attuazione di un programma transitorio di dialisi.
Alcune complicanze postoperatorie possono richiedere per la loro risoluzione una revisione chirurgica (emorragie, complicanze intestinali, diastasi della ferita). Tale evento si configura in circa l’1% dei casi.
Una complicanza tardiva consiste nell’erniazione intestinale attraverso un difetto fasciale che si realizza in corrispondenza della ferita chirurgica (lombocele).
La degenza postoperatoria non complicata ha una durata di circa 7-10 giorni.
Meatotomia ureterale nell’uomo
Definizione: consiste nella incisione della parte ventrale del glande, con successivo accostamento dei margini mucosi dell’uretra, per meglio controllare possibili fatti emorragici.
Indicazioni: è un procedimento volto alla soluzione di una stenosi del meato uretrale esterno. Questa può essere congenita (ed associarsi ad altre malformazioni congenite, come l’ipospadia) oppure secondaria a fenomeni flogistici locali, specifici o aspecifici, o a traumi, più spesso rappresentati da situazioni iatrogene, come il cateterismo o il ricorso a strumentazione uretrale endoscopica.
Descrizione della tecnica: con lama da bisturi o con bisturi elettrico si incide il margine ventrale del meato uretrale esterno, procedendo prossimalmente nell’uretra glandulare fino a “guadagnare” il punto in cui il lume di questa riacquista un calibro regolare.
Preparazione all’intervento: profilassi antibiotica.
Tipo di anestesia: può bastare un’infiltrazione locale con anestetico, associandola, per la necessità di calibrare poi l’uretra distale, all’introduzione nel lume uretrale di gel anestetico.
Durata dell’intervento: pochi minuti.
Tipo e durata del ricovero: si esegue in Day-Surgery.
Risultati: soddisfacenti dal punto di vista funzionale, non altrettanto dal punto di vista estetico. Fa eccezione la stenosi del meato secondaria a Balanite Xerotica Obliterans: in questo caso la tendenza alla recidiva è elevata, per la caratteristica della malattia di colpire sia il glande, che il prepuzio e la fossa navicolare; in questi casi sembra trovare indicazione l’applicazione locale di steroidi e antibiotici che stabilizzino la componente infiammatoria e offrano più garanzie ad un intervento di meatoplastica.
Vantaggi: intervento semplice.
Svantaggi: dal punto di vista funzionale può essere condizionante il mitto a bagnafiore che così si realizza.
Complicanze: la recidiva, frequente nella Balanite Xerotica Obliterans.
Attenzioni da porre alla dimissione: può essere utile nella prevenzione delle recidive tenere separati i bordi dell’incisione e lubrificare la parte mediante la punta di un tubo per pomate oftalmiche antibiotiche, da utilizzare almeno tre volte al giorno per 7-10 giorni.
Controlli: valutazioni periodiche della pervietà del lume uretrale (uroflussometria, calibratura uretrale di necessità).
Nefrostomia percutanea
Definizione: E’ una procedura che consiste nella puntura delle cavità renali attraverso la cute della regione lombare, sotto controllo ecografico o fluoroscopico, allo scopo di realizzare una comunicazione stabile tra le cavità renali e la superficie corporea per mezzo di un catetere in materiale soffice da connettere ad un raccoglitore.
Indicazioni e controindicazioni: Si ricorre alla nefrostomia percutanea:
a) in caso di ostruzione ureterale acuta o cronica determinante insufficienza renale allorchè tale ostruzione non sia superabile con manovre endoscopiche per via retrograda;
b) quale tempo preliminare per l’allestimento del tramite per l’esecuzione di manovre endoscopiche sulle alte vie urinarie per via percutanea (frantumazione e/o rimozione di calcoli, rimozione di corpo estraneo, trattamento di neoplasie pielocaliciali superficiali e di basso grado, incisione del giunto pielo-ureterale, ecc);
c) quale tempo preliminare per manovre sull’uretere per via anterograda (ad esempio: frantumazione e rimozione di calcoli, posizionamento di cateteri o stents ureterali, ecc).
Descrizione della tecnica: La tecnica di posizionamento è più o meno semplice a seconda che il rene sia molto o poco ostruito e quindi più o meno dilatato. Sotto guida ecografica si individua il rene, si anestetizza la cute del fianco sotto le coste, si punge il fianco con un ago e su questo si fa scorrere un tubicino molle che, una volta raggiunto il rene, drenerà subito l’urina verso l’esterno. Vi sono due tipi di drenaggi: a ricciolo e a palloncino. Il primo è meno ancorato al corpo e tende a fuoriuscire se viene lasciato a lungo; il secondo è invece più stabile e fisso grazie ad un palloncino interno che gonfiato fa da ancoraggio. I materiali di costruzione sono numerosi e diversi fra loro ma assicurano tutti un buon funzionamento per alcune settimane o mesi.
Preparazione all’intervento: La procedura richiede solamente l’anestesia locale; non è quindi richista alcuna preparazione all’intervento.
Durata dell’intervento: Da 15 a 30 minuti, in relazione alla entità della dilatazione delle cavità renali.
Tipo e durata del ricovero: La procedura viene attuata nel corso di un ricovero ordinario per la necessità di monitorare la funzionalità renale per qualche giorno dopo la nefrostomia o perché fa parte di una procedura chirurgica più complessa. In alcune indicazioni è comunque possibile attuare la procedura in Day Surgery, con poche ore di permanenza in ospedale, specialmente quando si tratta di riposizionare il catetere nefrostomico dopo una fuoriuscita accidentale dello stesso con chiusura del tramite.
Risultati: La nefrostomia percutanea ha un tasso di successo vicino al 100% quando le cavità renali sono dilatate; se manca la dilatazione il successo è fra il 70 e l’80%. Quando viene attuata allo scopo di drenare un rene particolarmente disteso e dolente comporta la scomparsa della sintomatologia dolorosa nel giro di pochi minuti. In caso di infezione concomitante con febbre, il drenaggio delle cavità renali dilatate, coadiuvata dalla terapia antibiotica, comporta in genere la rapida risoluzione della fase acuta febbrile.
Vantaggi: Accesso rapido al rene senza necessità di manovre endoscopiche che possono essere all’origine di complicanze.
Svantaggi: La permanenza del catetere nefrostomico, con la necessità di portare il sacchetto raccoglitore per l’urina che continuamente viene prodotta dal rene, richiede una cura particolare del tramite da cui esce il catetere , soprattutto nel caso di nefrostomia definitiva. Nel caso di utilizzo di sacchetti raccoglitori adesivi, possono determinarsi dermatiti reattive da intolleranza cutanea all’adesivo.
Effetti collaterali: La modificazione dello schema corporeo, rappresentato dal catetere nefrostomico, può determinare problemi psicologici nei soggetti predisposti.
Complicanze: Possono essere legate alla puntura del rene o alla permanenza del catetere nefrostomico. Quelle legate alla puntura renale sono riconducibili a possibili ematomi perirenali (2-3%), perforazione intestinale (1,5%), stravaso di urina attorno al rene (0.5%). Quelle legate alla permanenza del catetere sono: l’ostruzione e lo sposizionamento del catetere nefrostomico, che richiedono entrambe la sostituzione con una nuova nefrostomia se non è possibile recuperare il tramite. Un’altra complicanza rara è l’allergia all’anestetico locale, che si verifica pochi minuti dopo iniezione della sostanza anestetica, e può essere di varia intensità: l’ospedale è attrezzato per curare immediatamente questa complicanza.
Attenzioni da porre alla dimissione: Il paziente deve essere istruito per avere cura del catetere nefrostomico. In caso di infezione urinaria è indicata la terapia antibiotica eventualmente a cicli. Nella nefrostomia definitiva va programmata la sostituzione periodica del catetere nefrostomico.
Come comportarsi in caso di complicanze dopo la dimissione: è consigliabile fare riferimento al centro ove è stata effettuata la procedura.
Controlli: Nella nefrostomia transitoria il catetere viene rimosso dopo un periodo stabilito caso per caso. Nella nefrostomia definitiva va programmata la sostituzione periodica del catetere nefrostomico e la cadenza dei controlli della funzionalità renale oltre che della malattia di base che ha reso necessaria la nefrostomia.
Pielo plastiche
Definizione: Per pieloplastiche si intendono interventi chirurgici che hanno lo scopo di correggere un difetto nel meccanismo di trasporto dell’urina dal rene alla vescica. Il difetto è situato a livello della giunzione tra bacinetto renale e uretere. Il bacinetto renale (chiamato anche pelvi renale: da qui deriva il termine “pieloplastiche” cioè rimodellamento della pelvi renale) è una specie di punto di raccolta dell’urina prima di incanalarsi giù per il sottile tubicino detto uretere che la porterà in vescica. A causa di una malformazione congenita la zona di passaggio tra il bacinetto e l’uretere non si sviluppa e rimane trappo stretta determinando un ostacolo allo scarico dell’urina. L’ostacolo determina una dilatazione delle vie urinarie intrarenali, detta idronefrosi.
Indicazioni: Le pieloplastiche vengono eseguite quando a causa della ostruzione il rene subisce un lento, ma progressivo danno oppure quando vi siano ripetute coliche renali. Hanno lo scopo di rimodellare la zona ostruita per allargarla.
Descrizione della tecnica: Tre sono le tecniche :
– chirurgia tradizionale;
– incisione endoscopica (endopielolitotomia);
– chirurgia laparoscopica;
La prima prevede una incisione, in anestesia generale, al fianco per raggiungere il rene e poi rimodellare la giunzione pielo-ureterale. Alla fine dell’intervento verrà posizionato un tubicino (stent) all’interno delle vie urinarie corrette per permettere una guarigione più sicura; dopo 10-15 giorni lo stent verrà sfilato con una cistoscopia ambulatoriale. Altre volte invece il chirurgo potrà scegliere di posizionare lo stent che dal rene uscirà alla cute del fianco per drenare temporaneamente le urine: dopo 7-10 giorni verrà estratto. La manovra è completamente indolore. Le incisioni endoscopiche invece ottengono lo stesso scopo con una aggressione in anestesia generale della zona malformata, agendo dall’interno delle vie urinarie. Strumenti miniaturizzati vi arrivano o con accesso percutaneo (cioè dal fianco) con foro cutaneo di 1cm o risalendo dal basso lungo le vie urinarie, senza alcuna incisione cutanea. La sezione del giunto avviene o con lama tagliente o con corrente elettrica o con laser. Alla fine della procedura viene lasciato anche qui un tubicino interno all’uretere (stent) di protezione per più lungo tempo (da 1 a 6 mesi). Non sempre però è indicata la via endoscopica: per esempio le possibilità di successo sono scarse se il rene è poco funzionante e le vie urinarie molto dilatate (circa 50%). La chirurgia laparoscopica è una tecnica non molto usata attualmente (costi elevati, lunghi tempi di anestesia). Ha il vantaggio della sicurezza della chirurgia tradizionale associata alla scarsa invasività e scarso dolore post-operatorio perché si arriva alle vie urinarie dall’addome dove si praticameno solamente alcune piccolissime incisioni cutanee: attraverso queste incisioni vengono introdotti particolari strumenti che consentono di effettuare le stesse procedure praticabili a cielo aperto sotto visione diretta su monitor consentita da una telecamera applicata ad un sistema ottico introdotto nell’addome sempre attraverso una piccolissima incisione cutanea.
Preparazione all’intervento: Trattandosi di interventi chirurgici in anestesia il paziente dovrà eseguire gli accertamenti preoperatori necessari per l’anestesia; il giorno prima dell’intervento sarà eseguita la preparazione intestinale. La rasatura cutanea avverrà poco prima dell’intervento. E’ indicata la profilassi antibiotica e antitrombotica.
Durata dell’intervento: L’interevento chirurgico tradizionale dura circa 1-2 ore, come quelli endoscopici e percutanei. Più lungo è invece l’intervento per via laparoscopica (dalle 2 alle 4 ore).
Tipo e durata del ricovero: L’intervento richiede un ricovero ordinario che può variare dai 3 (tecniche endoscopiche e laparoscopiche) ai 7-10 giorni (chirurgia a cielo aperto).
Risultati: Con la tecnica chirurgica tradizionale a cielo aperto, i risultati sono molto buoni. La risoluzione dell’ostruzione si ottiene dall’85 al 92% dei casi nei controlli a 5-10 anni. Risultati sovrapponibili sono conseguibili con la tecnica laparoscopica, mentre l’endopielotomia ha un tasso di successi lievemente inferiori fra il 75 e l’80%.
Vantaggi: Il successo della procedura comporta la risoluzione della sintomatologia clinica e migliora la funzionalità del rene trattato. L’intervento a cielo aperto è quello che attualmente è più vantaggioso per quanto riguarda il tasso di successi e la rapidità di esecuzione (almeno nei confronti della tecnica laparoscopica). La tecnica laparoscopica ha invece il vantaggio di evitare indebolimenti della parete addominale e di richiedere un ricovero e una convalescenza più brevi. La tecnica endoscopica è tanto più vantaggiosa quanto meno invasiva (via ureterale versus via percutanea), ma vanta un minor tasso di successi a distanza.
Svantaggi: Tecnica chirurgica: l’incisione della massa muscolare può lasciare come esito una ipotonia della parete. Tecnica endoscopica: maggior numero di insuccessi e necessità di permanenza di uno stent endoureterale per almeno 6 settimane. Tecnica laparoscopica: tecnica lunga e non effettuabile in tutti i centri.
Effetti collaterali: Nel caso della incisione lombotomica chirurgica tradizionale è frequente la sezione dei nervi che regolano il tono muscolare: ne può derivare debolezza muscolare e perdita di sensibilità di ampie zone di parete addominale.
Complicanze: Le complicanze perioperatorie della tecnica chirurgica tradizionale e laparoscopica sono rare: infezione nel 2-5% e fistola urinosa, cioè fuoriuscita di urina dal drenaggio cutaneo una volta rimosso lo stent ureterale o la nefrostomia (2-3%), che richiede un nuovo cateterismo ureterale. Conversione della via laparoscopica alla chirurgica del 2-3% dei casi). Le complicanze della tecnica endoscopica sono lievemente più frequenti e imprevedibili: emorragie interne che possono richiedere anche un intervento chirurgico in emergenza (1-5%) e infezioni causate dagli stents ureterali che devono essere lasciati a lungo (3-8%). Le complicanze a distanza consistono nella possibile formazione di cicatrice esuberante a livello della plastica o della incisione endoscopica con recidiva dell’ostruzione e quindi degli stessi disturbi che hanno portato all’intervento.
Attenzioni da porre alla dimissione: Sono legate principalmente alla ferita chirurgica. Il taglio al fianco può richiedere anche 3-4 settimane prima di una guarigione definitiva. In questo periodo i muscoli sezionati possono causare dolore se sollecitati fino alla fatica. Se l’intervento è stato eseguito per via endoscopica e percutanea o per via laparoscopica, la convalescenza sarà molto più corta, in genere solo di qualche giorno.
Come comportarsi in caso di complicanze dopo la dimissione: Consultare in prima istanza il proprio medico di famiglia.
Controlli: L’ecografia e la scintigrafia renale diuretica sono gli accertamenti che permettono di confermare la guarigione e di monitorare il buon funzionamento del rene operato.
Nefrostomia percutanea
Definizione: E’ una procedura che consiste nella puntura delle cavità renali attraverso la cute della regione lombare, sotto controllo ecografico o fluoroscopico, allo scopo di realizzare una comunicazione stabile tra le cavità renali e la superficie corporea per mezzo di un catetere in materiale soffice da connettere ad un raccoglitore.
Indicazioni: Si ricorre alla nefrostomia percutanea:
a) in caso di ostruzione ureterale acuta o cronica determinante insufficienza renale allorchè tale ostruzione non sia superabile con manovre endoscopiche per via retrograda;
b) quale tempo preliminare per l’allestimento del tramite per l’esecuzione di manovre endoscopiche sulle alte vie urinarie per via percutanea (frantumazione e/o rimozione di calcoli, rimozione di corpo estraneo, trattamento di neoplasie pielocaliciali superficiali e di basso grado, incisione del giunto pielo-ureterale, ecc);
c) quale tempo preliminare per manovre sull’uretere per via anterograda (ad esempio: frantumazione e rimozione di calcoli, posizionamento di cateteri o stents ureterali, ecc).
Descrizione della tecnica: La tecnica di posizionamento è più o meno semplice a seconda che il rene sia molto o poco ostruito e quindi più o meno dilatato. Sotto guida ecografica si individua il rene, si anestetizza la cute del fianco sotto le coste, si punge il fianco con un ago e su questo si fa scorrere un tubicino molle che, una volta raggiunto il rene, drenerà subito l’urina verso l’esterno. Vi sono due tipi di drenaggi: a ricciolo e a palloncino. Il primo è meno ancorato al corpo e tende a fuoriuscire se viene lasciato a lungo; il secondo è invece più stabile e fisso grazie ad un palloncino interno che gonfiato fa da ancoraggio. I materiali di costruzione sono numerosi e diversi fra loro ma assicurano tutti un buon funzionamento per alcune settimane o mesi.
Preparazione all’intervento: La procedura richiede solamente l’anestesia locale; non è quindi richista alcuna preparazione all’intervento.
Durata dell’intervento: Da 15 a 30 minuti, in relazione alla entità della dilatazione delle cavità renali.
Tipo e durata del ricovero: La procedura viene attuata nel corso di un ricovero ordinario per la necessità di monitorare la funzionalità renale per qualche giorno dopo la nefrostomia o perché fa parte di una procedura chirurgica più complessa. In alcune indicazioni è comunque possibile attuare la procedura in Day Surgery, con poche ore di permanenza in ospedale, specialmente quando si tratta di riposizionare il catetere nefrostomico dopo una fuoriuscita accidentale dello stesso con chiusura del tramite.
Risultati: La nefrostomia percutanea ha un tasso di successo vicino al 100% quando le cavità renali sono dilatate; se manca la dilatazione il successo è fra il 70 e l’80%. Quando viene attuata allo scopo di drenare un rene particolarmente disteso e dolente comporta la scomparsa della sintomatologia dolorosa nel giro di pochi minuti. In caso di infezione concomitante con febbre, il drenaggio delle cavità renali dilatate, coadiuvata dalla terapia antibiotica, comporta in genere la rapida risoluzione della fase acuta febbrile.
vantaggi: Accesso rapido al rene senza necessità di manovre endoscopiche che possono essere all’origine di complicanze.
Svantaggi: La permanenza del catetere nefrostomico, con la necessità di portare il sacchetto raccoglitore per l’urina che continuamente viene prodotta dal rene, richiede una cura particolare del tramite da cui esce il catetere , soprattutto nel caso di nefrostomia definitiva. Nel caso di utilizzo di sacchetti raccoglitori adesivi, possono determinarsi dermatiti reattive da intolleranza cutanea all’adesivo.
Effetti collaterali: La modificazione dello schema corporeo, rappresentato dal catetere nefrostomico, può determinare problemi psicologici nei soggetti predisposti.
Complicanze: Possono essere legate alla puntura del rene o alla permanenza del catetere nefrostomico. Quelle legate alla puntura renale sono riconducibili a possibili ematomi perirenali (2-3%), perforazione intestinale (1,5%), stravaso di urina attorno al rene (0.5%). Quelle legate alla permanenza del catetere sono: l’ostruzione e lo sposizionamento del catetere nefrostomico, che richiedono entrambe la sostituzione con una nuova nefrostomia se non è possibile recuperare il tramite. Un’altra complicanza rara è l’allergia all’anestetico locale, che si verifica pochi minuti dopo iniezione della sostanza anestetica, e può essere di varia intensità: l’ospedale è attrezzato per curare immediatamente questa complicanza.
Attenzioni da porre alla dimissione: Il paziente deve essere istruito per avere cura del catetere nefrostomico. In caso di infezione urinaria è indicata la terapia antibiotica eventualmente a cicli. Nella nefrostomia definitiva va programmata la sostituzione periodica del catetere nefrostomico.
Come comportarsi in caso di complicanze dopo la dimissione: è consigliabile fare riferimento al centro ove è stata effettuata la procedura.
Controlli: Nella nefrostomia transitoria il catetere viene rimosso dopo un periodo stabilito caso per caso. Nella nefrostomia definitiva va programmata la sostituzione periodica del catetere nefrostomico e la cadenza dei controlli della funzionalità renale oltre che della malattia di base che ha reso necessaria la nefrostomia.
Cistotomia – Cistolitotomia
Definizione: con il termine cistotomia sovrapubica si intende l’apertura della vescica o tramite una incisione cutanea, compresa tra il pube e l’ombelico, o in alternativa, per via laparoscopica. L’intervento consente l’accesso alla cavità vescicale ed è indicata per patologie vescicali come corpi estranei, calcolosi voluminose, patologie della prostata e del collo vescicale, diverticoli e neoformazioni vescicali, reimpianto dell’uretere.
Descrizione della tecnica: è prevista l’anestesia periferica o generale. L’incisione cutanea, fra pube ed ombelico, consente di divaricare i muscoli retti e di raggiungere la vescica che viene aperta sulla parete anteriore. Se eseguita per via laparoscopica si posizionano due o tre cannule transcutanee attraverso le quali si introducono una telecamera e degli strumenti operativi che permettono di aprire la parete vescicale dopo aver “gonfiato” con aria il tessuto circostante la vescica. Dopo il completamento della procedura chirurgica si pone a dimora un catetere con palloncino e si sutura la vescica. Posizionato un drenaggio nello scavo pelvico, si sutura la parete addominale. La procedura può richiedere da 20 a 60 minuti od oltre a seconda del tipo di patologia.
Tipo e durata del ricovero: può variare fra 3 e 8 giorni in rapporto al tipo di patologia. Il catetere vescicale viene rimosso tra la 3° e la 10° giornata.
Complicanze: la mancanza di casistiche omogenee e di linee guida rende impossibile al momento offrire delle percentuali di riferimento per le singole complicanze. La percentuale globale delle complicanze è del 15-17%; tra queste si ricordano: ritardata o imperfetta chiusura (deiscenza) della sutura vescicale con necessità di cateterismo prolungato, infezione urinaria con febbre, calcolosi urinaria, ematuria (presenza di sangue nelle urine), ematoma dello scavo pelvico, fistola urinaria, laparocele (ernia della parete addominale).
Attenzioni da porre alla dimissione: nei primi giorni la minzione può essere difficoltosa e frequente; essa si regolarizza con il tempo. Dopo 15-20 giorni il paziente può riprendere una normale attività lavorativa. Si consiglia una adeguata idratazione, mentre la terapia con antibiotici è da valutare in relazione alla patologia di base. In caso di comparsa di ematuria, pollachiuria (aumento della frequenza minzionale), urgenza minzionale associata o meno ad incontinenza urinaria, ritenzione acuta di urina, il paziente deve contattare il proprio urologo di fiducia